venerdì 11 novembre 2016

Recensione: Harry Potter e la maledizione dell'Erede

SPOILER HERE!!!

Sono nato nel 1992, sono cresciuto con Harry Potter e ho passato svariate notti a leggere le storie di Harry, Ron, Hermione e Voldemort che a scriverlo mi si accappona la pelle perché come tutti i veri fan, il suo nome non può essere scritto ed è chiamato Colui-Che-Non-Può-Essere-Nominato. La pena? Vederlo apparire di fronte a te ed essere ucciso dal suo Avada Kedavra!

Ma lasciamo perdere le paure per un personaggio che ha fatto la storia della letteratura per l'infanzia e parliamo di Harry Potter e la maledizione dell'Erede, l'ottavo libro della saga.

Innanzitutto non è un romanzo ma un copione e questo non è un elemento a favore dell'opera vista l'abilità eccelsa di scrivere di J.K.Rowling. Constatato questo, passiamo alla storia: si svolge tutto 19 anni dopo la fine della Guerra di Hogwarts, una guerra che ha dato vita a leggende ma che ha visto la morte operare più del previsto. Molti sono caduti in battaglia e i vincitori portano con loro le ferite di quei giorni. I nostri personaggi più amati sono tutti dei simpatici quarantenni e hanno tutti carriere sfolgoranti: Hermione è Ministro della Magia. Harry ne dirige un'ala, Ron lavora al negozio di scherzi con il gemello sopravvissuto. I loro figli sono tutti a Hogwarts e portano con loro il peso di essere gli eredi degli eroi. Draco, invece, nonostante sia passato dalla parte dei buoni, non ha vita facile: sua moglie è morta prematuramente e loro figlio, Scorpius, non sembra proprio assomigliare alla stirpe dei Malfoy.

Tutto procede per il meglio in questi 19 anni di assenza e Voldemort è rimasto un oscuro e spaventoso ricordo del passato ma a un tratto, dopo 19 anni, la cicatrice a forma di saetta di Harry torna a bruciare e il pericolo sembra essere tornato. In una serie di sconvolgenti viaggi nel tempo che potrebbero cambiare il corso del presente e del futuro, i maghi che hanno fatto la storia tornano a vincere nuovamente scovando un ultimo e inquietante segreto di Lord Voldemort: nei suoi anni di oblio ha generato un'erede che tenterà di portarlo in vita.

Ecco, la trama è conclusa e devo dire che in linea di massima la Rowling ha mostrato nuovamente la sua genialità. Peccato che la sua memoria sia un po' arrugginita e abbia scritto parecchi momenti di confusione all'interno del libro, momenti che vengono prontamente smascherati da un fan della saga. Ma non è tanto questo il problema, a mio avviso, di questo libro: il vero problema sta nella fattibilità dei fatti: quando avrebbe potuto Voldemort avere una figlia? Quando Bellatrix avrebbe avuto una gravidanza se è rimasta rinchiusa per anni ad Azkaban? Come ha vissuto questa erede e perché mai non è spuntata fuori prima?

Queste sono le domande senza risposta del romanzo, domande che, probabilmente, rimarranno silenti.

sabato 5 novembre 2016

Recensione: 8 pericolose, simpatiche, donnette

Ieri sera a San Cesareo, al teatro comunale, è andato in scena il dramma dal sapore assolutamente humor scritto dal Salvino Lorefice, autore siciliano che ha contribuito alla diffusione dell'arte teatrale italiana contemporanea. Lo spettacolo "8 pericolose, simpatiche, donnette" diretto da Claudio Tagliacozzo e Micaela Sangermano è risultato essere uno spettacolo piacevole e di intrattenimento, nonostante alcune delle protagoniste calpestavano per la prima volta il palco davanti a un vero e proprio pubblico. Tre delle protagoniste infatti sono le allieve dell'Accademia teatrale gestita dall'Associazione "Marionette Senza Fili" diretta da Claudio Tagliacozzo. 

8 le protagoniste, come dicevo, 3 ex neofite, ormai propriamente attrici, 5 invece, con qualche esperienza passata sul palco. Un mix di esperienze e storie che ha permesso un'ottima riuscita di uno spettacolo evidentemente non facile. Il testo è evidentemente difficile, i personaggi anch'essi complicati: 8 donne con 8 storie diverse, con 8 diverse psicologie e con 8 differenti ruoli che non sono totalmente chiari neanche alla conclusione dell'opera. 

La domanda è una: cos'è la morte? 

La risposta? Interessante. "Un semplice passaggio per poi tornare a vivere?" si chiede Annetta. Forse questo o forse la fine, non ci è dato saperlo, per il momento. Ciò che sicuramente sappiamo è che lo spettacolo è da vedere: tornando a casa, queste domande sul senso della vita e della morte, le storie di queste pericolose assassine, il monologo sulla differenza Anima/Spirito e tanti altri momenti, vi faranno riflettere in modo coercitivo sul vostro vissuto.

Ma parliamo delle protagoniste:
Luisa, interpretata da Ambra Baroncelli, è "un'ex attrice fallita" colpevole di diversi omicidi, una bambina nel corpo di una donna la cui unica passione non è che la recitazione, il cui unico punto debole non è che l'ambizione.
Caterina, interpretata da Anna Lulli, è una ragazza vissuta in povertà che offriva il suo corpo in cambio di preziosi oggetti d'antiquariato non da vendere, ma da possedere.
Sara, interpretata da Cesidia Ferrante, ha l'hobby del giardinaggio; ha scoperto che il corpo umano può essere il migliore dei fertilizzanti: una donna che è stata amata un po' poco?
Palmira, interpretata da Chiara Cecchetti, è il personaggio misterioso di tutta l'opera: nessuno conosce la sua storia, e purtroppo tutti conoscono le sue barzellette.
Giulietta, interpretata da Dana Cornacchia, è un'astrologa, una visionaria o meglio, così vorrebbe far credere; in realtà è solo una donna a caccia del riconoscimento di un talento che non ha mai avuto.
Maria, interpretata da Ilaria Capitelli, è la più pazza di tutte o forse solo quella la cui pazzia è più evidente: tenta di trovare il modo migliore per suicidarsi, senza ricordare che tanto lo scopo è sempre lo stesso.
Jenni, interpretata da Linda Salvi, è la cameriera, governante, detective: insomma, comanda lei. Non si conosce la sua storia ma si capisce il suo ruolo, lei vigila su quelle donnette o forse è semplicemente una di loro?
Annetta, interpretata da Stefania Donati, è invece la spiritista, quella in contatto con l'aldilà. Il suo ruolo è centrale in questo dramma, la sua storia una delle più inquietanti.

Presentante le protagoniste, ora avete tutti i più validi motivi per andarlo a vedere a teatro: non si ride solamente e ci si spaventa quanto basta, ma si riflette una volta a casa che, a mio parere, è l'unico aspetto che divide gli spettacoli di qualità da quelli che si sarebbe fatto anche a meno di vedere.



sabato 29 ottobre 2016

Credici anche quando tutto è perduto

La vita è una serie di alti e di bassi, di pro e di contro, di momenti in cui tutto va bene e in altri in cui tutto sembra remare contro e in quei momenti anche la speranza di un futuro migliore diventa un ricordo sbiadito: tutto è nero e la luce sembra essere impossibile da vedere ma vi racconterò ciò che è successo, come ho fatto a vedere la luce in dei mesi in cui ero davvero circondato solo da ombre.

Ma cominciamo dal principio.

Era Gennaio e ho iniziato un nuovo lavoro pieno di entusiasmo e di speranze, vivevo con il mio migliore amico e avevo un flirt con una persona davvero speciale. L'unico problema era la distanza da casa che si faceva sentire e una situazione non facile da gestire.

Era Marzo, poi Aprile e Maggio, il lavoro iniziava a farmi sorgere domande, vivevo ancora con il mio migliore amico ma si sarebbe trasferito all'inizio dell'estate. Il mio flirt andava a concludersi, gli amici erano ossigeno e tutto quello che mi causava ansia e dolore aveva finalmente trovato risoluzione. 

Era Luglio e ho preso una decisione: dare una svolta alla mia vita professionale. Lascio il lavoro, torno a casa, studio per l'ultimo esame da dare per laurearmi a Dicembre e affrontare il mondo del lavoro di stampo internazionale. Inutile dire che la burocrazia aveva colpito e che tutti i miei piani erano andati in fumo. Così mi sono ritrovato senza lavoro, senza progetti e nel caos più totale. 

Era Settembre e ho riprogrammato tutto: me stesso, la ricerca del lavoro, i miei obiettivi. Il mio flirt era giunto a conclusione e come tutte le mie relazioni, che sono poche ma emotivamente potenti, la sua ombra tornava sempre a ricordarmi ciò che eravamo, ciò che saremmo potuti essere e ciò che non siamo stati. 

Poi è arrivato Ottobre e tutto è cambiato: ho trovato lavoro, sto curando dei progetti e mi sto dando da fare affinché tutto, almeno dal punto di vista lavorativo, abbia un seguito. E devo dire di essere soddisfatto di me stesso, per essere riuscito a sopravvivere emotivamente a questa tempesta dell'ultimo anno. 

Forse la tempesta non è ancora passata e nuove insidie si nascondono nell'ombra ma se c'è una cosa per cui non sono caduto al suolo senza forze è stato credere in me e nelle mie possibilità, è stato credere che il duro lavoro paga, anche quando così non sembra. Lo ripeterò fino allo sfinimento: tutto accade per un motivo e credo fermamente che i periodi bui servano per farti apprezzare il bello che la vita può offrire se riesci a muoverti, a non rimanere immobile e fermo, se ti circondi di possibilità e tenti di coglierne più che puoi.

Ed è per questo che la luce in fondo al tunnel non esiste: viviamo in tunnel mentali ogni giorno. Possiamo decidere solamente se illuminarli noi stessi o se lasciarci abbandonare al buio delle quotidiane difficoltà della vita. 

sabato 15 ottobre 2016

Amicizie maggiorenni, amicizie minorenni

Ieri sera ero ad una festa di compleanno: i 24 anni di una mia cara amica.
Birra, vino, tramezzini, pizzette, pasta e tante chiacchiere. Insomma, la classica festa in casa, in cui ci si rivede per aggiornarsi, stare insieme e recuperare il tempo perduto con il lavoro, lo studio e insomma, la vita di tutti i giorni.
Dicevo, ero a questa festa di compleanno, si rideva molto e il vino faceva la sua parte. Poi c'è stato il momento dei ricordi, di quando eravamo piccoli e in un attimo la verità è saltata fuori inaspettatamente: la nostra amicizia aveva compiuto 18 anni! Ed è un'amicizia fantastica, di quelle durature, che vanno avanti nel tempo anche quando il tempo non c'è.

Così tornando a casa ho ripensato all'evoluzione dell'amicizia in base alla crescita:
- quando si è bambini si è tutti amici, senza se e senza ma
- poi c'è una selezione rigorosa dettata da differenze sociali, economiche e culturali
- poi un'ulteriore selezione, che inizia dopo la maggiore età, in cui si sceglie chi è più simile a noi
- infine, tristemente, ci sono quelli che scelgono le amicizie in base a ciò che gli può essere utile nella vita

Lo so, non è sempre così, c'è chi riesce a rimanere felicemente distaccato dalle dinamiche degli adulti, ma molti invece ne rimangono intrappolati senza neanche un perché. Ma se c'è un risvolto positivo in tutta questa situazione, è che esistono le amicizie maggiorenni, le amicizie storiche, quelle che ti sono affianco anche quando non lo possono essere fisicamente, e quelle sono le migliori.

venerdì 7 ottobre 2016

Cos'è Comunicazione Ordinaria?

2 anni fa, appena laureato, mentre tentavo di capire cosa fare con la mia vita e con l'inizio della mia carriera, decisi di aprire un blog, questo blog. Da allora ci sono state tante evoluzioni, è nata una pagina Facebook e ho iniziato ad avere un seguito, un piccolo seguito e con la pagina sono evoluto io, la mia scrittura e i miei argomenti.

Ho iniziato a scrivere un libro, un romanzo per la precisione, che ha ancora molto bisogno di cure prima di uscire allo scoperto. Ora sono più coraggioso e più coraggiosa è la mia scrittura. Mi batto per i diritti degli altri, di quelli che vengono definiti diversi e che vivono situazioni di disagio. Faccio parte della schiera dei blogger che tramite la scrittura vogliono migliorare l'umore delle persone, farle riflettere su ciò che succede nella vita di ogni giorno e spero di poter aiutare più persone possibili come faccio quando me ne capita l'occasione.

Perché Comunicazione Ordinaria?

Perché sono le iniziali del mio nome, direi banalmente. Ma è più di questo: la Comunicazione avviene in ogni attimo della vita e nella società moderna è più quella non verbale che quella verbale. Oggi la Comunicazione è fatta da like, commenti, cuori e tutti gli altri mezzi di interazione social. Con questi strumenti comunichiamo ogni giorno e ogni giorno, Ordinaria(mente), possiamo migliorare o peggiorare la giornata di qualcuno. Comunicazione Ordinaria vuole fare questo: dare chance, possibilità, punti di vista a chi vede solo il buio, l'oscurità e nessuna via di fuga.

Ed è per questo che mi piace quando condividete le vostre storie con me, perché ogni storia è una vittoria e ogni vittoria diventa ancora più grande quando mi viene detto che ho scritto qualcosa che ha aiutato.

Ecco, questa è Comunicazione Ordinaria. Oggi.

Domani potrebbe essere qualcosa di ancora più bello.

sabato 1 ottobre 2016

Chi è un blogger?

Oggi è #ComunicazioneTheBlog e il primo articolo della rubrica si intitola: Chi è un blogger?

Un blogger è solitamente un ragazzo o una ragazza con la passione per lo scrivere che inizialmente si diletta a produrre contenuti in modo quasi randomico, successivamente capisce che se diventare scrittori di fama internazionale è un sogno, diventare dei blogger è una possibilità realmente realizzabile. Così tutti noi, in attesa di pubblicare il nostro primo libro, ci cimentiamo nell'arte del blogging, un'arte che se dall'esterno può sembrare una gran minchiata, dall'interno, ve lo assicuro, è una vera e propria guerra.

Si, perché non solo siamo tanti e la competizione è alle stelle, ma il web ci spinge a scrivere contenuti ogni giorno, tutti i giorni, festività comprese, con compensi abbastanza bassi e possibilità di carriera abbastanza minime, ma noi blogger lo facciamo perché ci piace scrivere, non possiamo fare altro che scrivere ma se uno scrittore dell' Ottocento basava la sua scrittura sulla fantasia e sulla propria vita, i blogger del 2016 devono basare la loro scrittura su una strategia creativa abbastanza complicata.

Wilde diceva "Nel bene o nel male, purché se ne parli." Noi blogger diciamo "Nel bene o nel male, purché qualcuno ci legga." motivo per cui alcuni blogger vendono l'anima al marketing e si fanno convincere da quella o da quell'altra azienda per pubblicizzare prodotti a cui non frega nulla né a loro, né al pubblico che vorrebbero avere. La fine della spontaneità insomma. Ma bisogna pur guadagnare dunque in un certo senso li capisco.

Essere un blogger vuol dire confrontarti ogni volta con la faccia schifata di chi ti chiede che lavoro fai, come se invece di dirgli che scrivi sul web, stessi dicendo che vendi organi al mercato nero. Ma soprattutto, i blogger combattono ogni giorno con i ghostwriters, quella categoria di scrittori che pur di pubblicare qualcosa, scrivono firmandosi col nome di altri, dando meriti a chi meriti non ne ha.

Infine ci sono i blogger puri, quelli che pubblicizzano prodotti che davvero apprezzano o che scrivono i propri libri firmandosi e pregando che qualcuno li compri. E sono quelli che apprezzo di più perché alcuni hanno come compito quello di dare valore alle persone che leggono i propri contenuti, dargli sostegno, consiglio e ausilio. Alcuni blogger sono delle vere e proprie star della filantropia, peccato che non se le fili nessuno, ma vi posso garantire, da blogger, che non c'è nulla di più bello che ricevere i messaggi di chi ti dice che in qualche modo, con la tua scrittura, l'hai aiutato a capire qualcosa, a guardare le cose da un altro punto di vista, a superare un ostacolo che forse prima sembrava insormontabile. Proprio come hanno fatto i grandi classici con le generazioni precedenti, quando i libri erano amici e consiglieri e non un peso da portarsi nello zaino.

Dunque essere un blogger è per la maggior parte dei casi pura passione e spero che dopo questo articolo, se qualcuno vi dirà che la sua professione è il blogger, possiate fare meno la smorfia schifata e possiate dirgli: "Allora sei un eroe!"

lunedì 19 settembre 2016

Che prima o poi arriva, quando meno te lo aspetti

Finita l'adolescenza, l'università ed entrato nel mondo del lavoro, tra lo spavento nel conoscere il magico mondo delle bollette e il realizzare che le storie sentimentali sono un oceano i cui pesci sono sempre pochi e con qualche difetto evidente, nella testa di un nuovo adulto compaiono allarmanti necessità tra cui quella di vivere la così detta "storia seria". Ed è un dramma, un periocolosissimo dramma, perché sei abbastanza giovane da non volerti legare seriamente e nonostante ciò sei circondato da coppiette felici, sei un'amante silente dei libri e dei film a lieto fine e il tuo cinismo non supererà mai la speranza che qualcuno nel globo potrà sopportare tutte le tue stranezze da maniaco del controllo di cui sei consapevole da quando hai pronunciato per la prima volta "Mamma".

Così, se non sei accasato e punti tutto sulla carriera e sul tuo progetto di girare il mondo, più il tempo passa e più ti trovi nello stallo sentimentale del "Non ho tempo per una relazione seria" e il "Però mi piacerebbe avere qualcuno" e qui il dramma aumenta in modo esponenziale perché se da una parte vogliamo avere qualcuno accanto a noi, dall'altra la società ha stabilito che essere single non vuol dire essere un untore di malattie ma anzi, un motivo di orgoglio. E ci sta: essere single per certi versi è magnifico.

Ed ecco che arriva l'illuminazione, la svolta, la presa di coscienza: se hai un futuro da voler realizzare, il problema non è essere single, il problema è non essere innamorati.

Bingo! Cin cin! Tombola!

Quando sei impegnato e totalmente concentrato su te stesso e sulla tua vita sai che non puoi controllare tutto, ma che puoi controllare molto. In quello spicchio che non può essere controllato, c'è l'Amore, il sentimento, la passione ed è una greve presa di coscienza sapere che i sentimenti non si controllano e che se si palesano è un bel problema, perché si possono moderare i propri, ma non quelli della persona che ti accanto.

E vai a trovarla una persona di cui innamorarti e che ti ami allo stesso modo, vai a cercare nelle fratte più nascoste del mondo qualcuno che ti fa battere il cuore e che si trova nella stessa tua situazione. La statistica presuppone che quella persona non esista o che se esiste vive a circa due continenti di distanza da te e magari preso dallo stesso sconforto si è dato alle relazioni senza amore ma con compagnia mentre tu invece ti ostini a riconoscere che senza amore non ce la fai proprio a fingere che tu sia in una relazione.

E dunque cosa fare? Iniziamo a comprare gatti e gettare la spugna prima del previsto?

Assolutamente no! Iniziare o continuare a vivere aperti alla possibilità dell'Amore, cambiare posti, magari anche città, provare cose nuove, con la consapevolezza che come qualsiasi cosa nella vita, anche l'Amore tarda ad arrivare ma poi arriva, quando meno te lo aspetti.

lunedì 12 settembre 2016

Suicide Squad: LOVE&HATE

Suicide Squad è uscito nelle sale cinematografiche già da un po' ed ha fatto parlare tanto di sé, così, per capire se fosse realmente un film da vedere o una boiata astronomica, ho preso la mia Matiz verde speranza e con mia sorella siamo andati a vederlo ieri sera. Inutile dire che mia sorella fosse davvero eccitata per il grande evento perché le sue amiche hanno amato il film e il personaggio di Harley Quinn è divenuto famosissimo tra le teenagers. Ad ogni modo, dopo aver visto il film non ho potuto che trovare elementi positivissimi ed elementi negativissimi riassunti in questi sei punti:

- Il cast e i personaggi di Suicide Squad sono pazzeschi! Non c'è un personaggio che non sia stato sviluppato alla perfezione: Joker, Harley Quinn, June Moore e tutti gli altri, sono davvero curati nei minimi dettagli. L'interpretazione è davvero convincente e la storia di ognuno di loro è credibile e totalmente empatica.

- La storia dell'Incantatrice è molto bella, davvero unica nel suo genere. Peccato non c'entrasse nulla con il resto del film. Suicide Squad è formato da ottimi protagonisti ma che vivono un'avventura che a mio parere è davvero campata in aria. Coloro che formano la Suicide Squad sono "metaumani" che lottano contro una dea di 6000 anni rinchiusa in un'urna dagli uomini primitivi che le si sono ribellati. Mmmm...non mi convince..

- Il personaggio di Harley Quinn piace così tanto perché è in fondo quello che molti vorrebbero diventare: una persona che dopo anni di impegno e di presa di responsabilità, torna a provare la libertà, l'ebbrezza del rischio, la passione che solitamente si spegne per via della routine. Harley Quinn è il mito di chi vede il tempo scorrere e le giornate farsi sempre più impegnative.

- In questo film manca una colonna sonora che possa essere ricordata: la musica ha uno spazio poco rilevante mentre in un film del genere ci si aspetta di uscire dalla sala con in testa un ritornello cantato da Jared Leto che ti insegue fino a quando non si va a letto.

- I cattivi a me piacciono e soprattutto le ragioni che li hanno trasformati in mostri a sangue freddo. Le storie dei super antagonisti sono eccezionali e le loro psicologie sono dannatamente complesse ma comprensibili. Deadshoot e El Diablo hanno storie diverse ma con un particolare in comune: entrambi, schiacciati da una società che non li comprende, tentano di trovare la felicità, nel modo sbagliato, è chiaro, ma nell'unico modo che la società gli ha permesso di trovarla.

- Il finale è deludente o ci sarà un sequel? Non lo sappiamo, per il momento. Ma per come è finito il film, l'amaro in bocca resta perché in un mondo in cui i cattivi vivono nella bambagia e i buoni non riescono a trovare la loro strada, vedere come la loro rendenzione non abbia portato a nulla mi ha parecchio infastidito. Inutile dire che spero nel sequel!

La mia review di Suicide Squad è terminata: voi, cosa ne pensate?

venerdì 26 agosto 2016

Le persone che non hanno sofferto abbastanza non possono capire

Amatrice è stata distrutta da un terremoto e qualcosa dopo aver saputo la notizia è cambiato: sembra che sia impossibile non voler sapere come si sta evolvendo la situazione, quali famiglie si siano salvate e quali invece vivono nel dolore. Sembra impossibile non gioire ogni volta che si annuncia che qualcuno è stato salvato e sembra impossibile non divenire tristi ogni volta che si annuncia l'ormai crescente numero di persone che ha perso la vita. Ciò che è avvenuto è un dramma, una tragedia che rende amaro anche un momento di gioia perché quando viene estratto qualcuno dalle macerie la domanda che ci si pone è: ha ancora una famiglia o è l'unico sopravvissuto? E sono molti i bambini orfani, i genitori senza più figli e le vedove e i vedovi che hanno continuato a vivere. Una tragedia del genere rende può rendere la vita una lenta agonia.

Ma se c'è un risvolto positivo in tutta questa situazione è vedere come si è mobilitata l'Italia intera e il mondo per affrontare questa tragedia. Sono tanti gli eventi di beneficenza, le raccolte fondi, gli aiuti inviati sul posto della tragedia per arginare il disagio, la paura, la morte che miete vittime ogni minuto. C'è del bello nel sapere che chi può ha dato una mano.

Eppure, nonostante la morte sia la protagonista in questa vicenda, hanno preso spazio anche gli sciacalli o come li chiamo io "le persone che non hanno sofferto abbastanza". Perché quella è l'unica giustificazione che posso dargli, quella di aver vissuto una vita perfetta, lontana dal dramma della morte e della disperazione per poter provare misericordia nei confronti di questa tragedia. Sono quelli che invece di agire in favore dei terremotati o restando rispettosamente in silenzio, credono che sia Dio ad aver voluto questa tragedia e quelli che paragonano due tragedie come questa e quella degli immigrati che scappano dalle guerre e con una superficialità diabolica giudicano quale tragedia sia peggiore, quale popolo sia migliore e decidono, come fossero davvero Dio, chi debba essere aiutato.

Ecco, queste persone sono quelle che non hanno sofferto abbastanza, che non hanno mai subito un lutto, che non conoscono il vuoto che porta la morte di una persona vicina. Perché non c'è altra soluzione. Non si può semplicemente dire che siano stupidi, perché non si tratta di stupidità, ma di assenza di compassione, di empatia e di sensibilità che è quella che poi scatena le guerre, le repressioni e le violenze.

Sono queste le persone che più di tutte hanno bisogno di essere ad Amatrice in questo momento, quelle che più di tutte hanno bisogno di conoscere il dramma della morte e della disperazione, perché sono loro che portano alla rovina un paese e nel peggiore dei casi, un mondo intero. E siamo noi invece, che dobbiamo arginarli, evitarli e lasciarli a loro stessi. Forse in questo caso conoscerebbero almeno il senso dell'abbandono e forse, qualcosa potrebbe smuoversi nelle loro carcasse senza anima.

giovedì 4 agosto 2016

Coming out: storia di V.

La storia di V. mi riguarda personalmente, è una mia amica che conosco da molto tempo e ha fatto il suo primo coming out con me. Per chi non sapesse cosa sia il coming out, ve lo spiego brevemente: coming out è il termine utilizzato per definire la dichiarazione di omosessualità di una persona ad un'altra. "Sono omosessuale." è la frase che più si teme di dire alla propria famiglia e ai propri amici. "Sono omosessuale." è una frase che in Italia e nel mondo può portare anche alla morte se non si vive in un contesto famigliare aperto e civile.

La storia di V. è una storia abbastanza triste. V. ha fatto coming out con i suoi amici e per tutti noi non è cambiato niente, anzi, abbiamo voluto conoscere la sua ragazza e stare insieme a loro per conoscere un lato di V. che fino a quel momento era rimasto celato portandole angoscia e paura.

Poi V. ha voluto parlarne anche con la famiglia e da quel momento V. vive in una situazione di ricatto e terrore. Non parlo dei calci ricevuti una volta aver dichiarato la sua vera natura, o dei silenzi da parte della donna che l'ha messa al mondo ma parlo del ricatto della madre di togliersi la vita se V. avesse continuato a vivere la sua relazione.

Ma V. ama e non ha lasciato la sua ragazza, ma la vede di nascosto, clandestinamente e ogni volta che torna a casa sono urla e terrore. V. non merita questa vita, nessuno la merita. Nessuno merita di essere denigrato e angosciato solo per la sua natura sessuale. Non dovrebbero esistere situazioni come quella di V.

Ora V. non vede l'ora di finire gli studi, impacchettare la sua roba e dire addio alla famiglia che le sta facendo vivere l'inferno. V. ha paura di stare in casa perché potrebbe succederle qualcosa se desse anche una semplice risposta sbagliata, V. ha paura di uscire perché poi dovrebbe ritornare e pagare le conseguenze di quell'uscita, V. è vittima di omofobia da parte della sua famiglia.

La storia di V. l'ho voluta raccontare per far sì che venga conosciuta la condizione in cui vivono moltissimi giovani omosessuali in Italia ed è per questo che chi è contro le leggi e le riforme contro l'omofobia, non capisce che esiste gente che in casa propria non fa altro che piangere dal terrore. E se non si è al sicuro a casa propria, non ci si sente al sicuro da nessuna parte.

lunedì 1 agosto 2016

3 aperitivi per 3 tipologie di relazioni

Come al solito quando torno dalle vacanze tento di organizzarmi tra il lavoro, la famiglia e le responsabilità per vedere i miei amici e tentare di combinare i miei impegni con i loro non è una cosa affatto facile perché superati i 20 anni, senza famiglia, figli, lavoro e bollette da pagare, è molto più dura di quando si hanno tutte queste cose. Noi siamo alla continua ricerca di un lavoro ben pagato, di una relazione che non richiede alcol, di una persona da poter presentare alla tua famiglia e di soldi per poter realizzare i nostri progetti.

Ad ogni modo in questi giorni ho incontrato un po' di amici e abbiamo fatto un resoconto degli ultimi mesi e sono uscite fuori situazioni sentimentali alquanto interessanti.

Aperitivo n.1 Crema di caffè
Quando esci da una relazione che è durata per un numero oltraggioso di giorni, in cui hai speso giovinezza e amore senza alcun tipo di protezione, ritrovare una persona decente con cui passare il tempo è una fatica di Ercole. Perché in giro la piazza è gremita di single attraenti e dal buon carattere solo che trovarli non è compito facile e quando pensi di aver trovato una persona con cui potresti passare almeno una serata semi-romantica, tutto va in malora perché ciò che sembra ottimo sulla carta si rivela essere una persona impacciata, nervosa, nevrotica e soprattutto senza alcuna intenzione di prendere iniziativa.

Aperitivo n.2 Caffè macchiato freddo
C'è, esiste, è normale e pure intraprendente. Notte di fuoco, cena deliziosa e musica orecchiabile. Corpi che si avvolgono, gemiti, gocce di sudore e poi doccia finale. E dopo mesi a flirtare e una serata niente male, ti accorgi che no, non è scattato nulla. Pura attrazione fisica e intellettuale. Neanche i sapiosessuali saprebbero dare una risposta a tale dilemma ma è scientificamente dimostrato che anche il migliore degli appartamenti non regala la scintilla, la chimica, l'emozione di dire "Non vedo l'ora di farlo ancora."

Aperitivo n.3 Coca-cola con ghiaccio
Tutti abbiamo un passato, cicatrici e giorni da dimenticare, ma soprattutto tutti abbiamo giorni da raccontare e quando si tratta di relazioni finite, allora i giorni da raccontare si trasformano in cena di 3 ore, caffè e cocktail per mandare giù tutto ciò che si è detto. Dunque quando si tratta di relazioni finite bisogna sempre riunirsi e raccontare ogni minimo dettaglio, condividere, raccontare per due motivazioni basilari:
- trovare nuovi motivi per avere ragione e non passare per pazzo furioso
- trovare nuove sfaccettature della relazione che vivendole in prima persona non troveresti mai

Ma ora è estate, dunque il passato lo mettiamo sotto il tappeto, prendiamo i nostri amici e continuiamo con i nostri aperitivi, con le serate da ricordare e da dimenticare e poi, con calma, quando avremo tempo, prenderemo ciò che abbiamo messo sotto il tappeto e gli daremo una bella sistemata. Senza buttare nulla, perché il passato serve, lo sistemiamo in modo tale che non faccia spazio, che non ingombri troppo ma che ci ricordi qualcosa che merita di essere ricordato.

martedì 26 luglio 2016

Le tre prese di coscienza delle situazioni irrisolte

Ho passato l'ultimo weekend in Puglia con mia famiglia e ho fatto visita al mare e alle persone che più amo, soprattutto la nuova arrivata. Ad ogni modo, la spensieratezza doveva prendere il sopravvento e invece realizzato di non avere il potere di godermi a pieno quei momenti. Insomma cosa potrebbe distrarmi da una giornata di mare o da una cena in famiglia? Poi ho avuto l'illuminazione: situazioni irrisolte. Ce ne sono di tanti tipi e le mie solo per lo più lavorative e sentimentali. Ma se sulle lavorative ci si può lavorare, sapendo cosa fare e come farlo, sul lato sentimentale si gioca in due e capita di ritrovarsi in situazioni che diventano bizzarramente irrisolte.

La questione è semplice: ci si frequenta, ci si conosce, si inizia a instaurare un rapporto e poi in uno schiocco di dita tutto quello che si stava costruendo svanisce all'improvviso. Cade, scivola via con una facilità immensa mentre per costruire bisogna lavorare in modo duro e determinato. Ed è in quel momento, quando una situazione smette di essere chiara, che sopraggiunge la situazione irrisolta. Non sappiamo perché è finita, se è colpa nostra, se abbiamo fatto qualcosa di male o se semplicemente stavamo uscendo con la classica persona con problemi di affettività e comunicazione che da un momento all'altro ha avuto paura che le cose possano farsi serie e si è data alla fuga più veloce che poteva. O forse non ero abbastanza, che non è da escludere, anche se, ripensandoci, cene, sesso e messaggi romantici non avvengono se non c'è un'attrazione letale, almeno da parte mia.

Dunque la domanda è: come si esce da una situazione irrisolta?
Quando una storia finisce sappiamo come difenderci da noi stessi, ma quando è lasciata a metà, come ci dobbiamo comportare?

Fino a poche ore fa, il mio bisogno compulsivo di sapere dove fosse e con chi fosse era diventato abbastanza noioso, poi, dopo una presa di coscienza, ho realizzato che in fondo non mi interessa più di tanto il suo presente, ma il motivo per cui io non sia nel suo presente. Da questo sono giunto a una seconda presa di coscienza: non lo saprò mai. Si, perché è così: se una persona vuole, nel 2016, nel parte digitale del mondo, un modo per dirti qualsiasi cosa lo trova. Se non arrivano messaggi whatsapp, telegram, snapchat, facebook, twitter, instagram o anche dei semplici segnali di fumo, è perché evidentemente non c'è interesse a dare spiegazioni. Ed è grandioso arrivare alla terza presa di coscienza: non interessa più neanche a me. Perché non voglio avere una relazione con chi non sa dire quello che pensa, con chi non sa affrontare una conversazione spinosa, con chi evidentemente ha così tanto bisogno di amore e così tanta paura di darlo e riceverlo, da sentirsi con più persone solo per avere la sicurezza che almeno virtualmente, per un secondo, conta qualcosa. E dunque è perfetto così, è andata come doveva andare solo per farmi arrivare alla conclusione che ci sono tipologie di persone con cui passerei un'intera vita insieme e altre che, nonostante un sex appeal notevole, voglio eliminare dalla lista delle possibilità.

Dunque per ricapitolare le mie prese di coscienza sulle situazioni irrisolte sono:
1) se diventi uno stalker, devi riconoscerlo e affrontare il problema
2) ci sono domande a cui non è dato sapere la risposta
3) se ti ritrovi in una situazione irrisolta, domandati se quella persona merita ancora la tua attenzione

Ultima cosa, in conclusione: non siete sbagliati voi, non avete problemi voi, sono loro che hanno problemi di comunicazione e di affettività abbastanza gravi.
Dunque su col morale e NEXT!

martedì 12 luglio 2016

Le 5 cose che ho amato e le 5 cose che ho odiato di Milano

La mia partenza è imminente: ho la casa piena di bagagli vuoti, pieni, semi-vuoti, semi-pieni, lavatrici da fare ma soprattutto, prima della mia partenza per Roma, ho un esame da dare. Sono dunque sull'orlo della disperazione!

Ad ogni modo mi sono trasferito a Milano un anno e mezzo fa e in questo periodo ho tentato di vivere le proposte della città e ho voluto stilare una lista, un piccolo decalogo diviso in una top five delle cose che ho amato e in una top five delle cose che ho odiato.

Iniziamo!

10. Ho odiato l'assenza di comunicazione, di garbo e cortesia. Perché a Milano se sei alla fermata del tram, sei rigorosamente con le cuffie o con gli occhi puntati sul telefono. Non c'è possibilità di incontro, chiacchiera o scambio anche solo per dire: "Che tempo di merda!" quando sei in pieno novembre e sta grandinando da 2 settimane.

9. Ho amato lo scorrere del tempo: tutto veloce, pieno, costantemente in crescita, non ti fermi mai e quando lo fai vai in estasi mistica. Però il tempo è speso bene tra le mille cose da fare e vai a letto soddisfatto, stanco ma soddisfatto.

8. Ho odiato il tempo, perché bello non è. In inverno è una continua pioggia che non ti lascia respirare, in estate è afa, caldo, umido e appiccicaticcio. Un vero inferno.

7. Ho amato le mostre, le esibizioni, gli eventi e la cultura diffusa. Ogni giorno si può vedere qualcosa e si può imparare qualcosa. Basta girare l'angolo e ti ritrovi di fronte alla casa in cui ha abitato un grande uomo del passato o alla galleria di un giovane artista in ascesa.

6. Ho odiato come cambiano in fretta le persone che partono dal Centro e dal Sud per studiare o lavorare qui. Perdono tutta l'energia e la gioia dei posti in cui sono nati e si abbandonano allo snobbismo di Corso Como, della Virgin e della moda dell'ultimo momento.

5. Ho amato il lavoro e le possibilità lavorative per i giovani. Qui il lavoro c'è e anche tanto, perché ai giovani le possibilità vengono date e alcuni guadagnano anche molto con il loro primo impiego. Qui il lavoro è sacro ed è formativo, eccitante e non annoia mai.

4. Ho odiato gli schiavi del lavoro, quelli che il lavoro te lo fanno odiare, quelli che si devono mettere in mostra, che non accettano interferenze e soprattutto appendono la loro vita al chiodo per un lavoro probabilmente temporaneo solamente per poter tornare a casa la sera e dire quanto dura sia la vita.

3. Ho amato l'università e gli eventi a cui ho partecipato, perché erano organizzati alla perfezione ed erano formativi, creativi e coinvolgenti. Per alcuni corsi universitari e per alcuni eventi sono uscito dalla porta sempre con nuove idee da sviluppare.

2. Ho odiato la mancanza di relazionarsi delle persone, la mancanza di coraggio diffuso di dirsi le cose in faccia, di esporre le proprie problematiche e di osare un po' di più.

1. Ho amato la facilità della vita in città, perché Milano è piccola, facile da percorrere, piena di servizi eccellenti e di luoghi che ti tolgono il fiato. In qualsiasi posto potrai trovarti, vedrai bellezza e diversità, e accettazione e novità. Per questo è la città della moda: qui tutto ciò che è diverso è accettato.

Questo è il mio personale decalogo delle cose che ho amato e odiato di questa meravigliosa città.

Fatemi sapere se siete d'accordo!

venerdì 8 luglio 2016

Un bilancio apparentemente negativo

"Tutto accade per un motivo" è la mia frase guida, è la soluzione a tutti i problemi e agli ostacoli che ho incontrato in questi anni. "Tutto accade per un motivo" è una forma di protezione e di riflessione che permette di evolverti dallo stato di confusione, a uno stato di chiarezza e consapevolezza. Ecco perché ogni volta che cado, che  inciampo, che qualcosa va storto, riesco a mantenere la calma perché mi ricordo che "Tutto accade per un motivo".

Poco più di un anno e mezzo fa, decisi di stravolgere la mia vita, di trasferirmi per cercar fortuna, spinto dall'ambizione, dalla giovinezza e dalla fame di esperienza. Dopo un anno e mezzo ora sono di ritorno a casa e posso fare il conto di questa mia esperienza. Il risultato è, apparentemente, estremamente negativo: ho perso tanto, tra cui me stesso e la motivazione che mi ha spinto a trasferirmi, ho ricevuto tante porte in faccia e ho lasciato che le situazioni prendessero il sopravvento senza riuscire a controllarle. Un disastro di dimensioni epiche.

Ma questa è l'apparenza. Nella realtà il conto è totalmente positivo. In un anno e mezzo ho imparato più cose su me stesso di quelle che ho imparato in 22 anni di quieta e protetta vita che ho vissuto prima di partire. La mia ambizione è maturata, i miei progetti hanno preso forma, le mie competenze sono cresciute e ho incontrato così tante persone negative e poco propositive che ho capito perfettamente chi voglio che sia al mio fianco nei giorni a venire. Ma ho incontrato anche l'amicizia, un po' di amore e un'esperienza lavorativa che consiglierei a chiunque. Ho conosciuto il Nord e la sua testa e i suoi sentimenti, così diversi dal Centro e dal Sud.

Nelle prossime settimane parlerò proprio di questo: le differenze tra questi due poli di uno stesso paese.

Auguro a tutti di poter fare un viaggio come il mio, alla scoperta della propria personalità, delle proprie debolezze e dei propri punti di forza. Un viaggio difficile ma spettacolare.

Al prossimo articolo e se vi è piaciuto condividete e mettete mi piace alla pagina Facebook!

C. :)

domenica 3 luglio 2016

La verità è che non gli piaci abbastanza: un ripasso

"La verità è che non gli piaci abbastanza" non è solo un film uscito nel 2009, è più la Bibbia dei single in epoca post secondo secolo dopo Cristo. E la traduzione del titolo in italiano neanche rende troppo bene l'idea della conoscenza che questo film esprime già sin dal suo nome: "He's Just Not That Into You" ovvero "è solo che lui non è interessato a te"(traduzione poetica ma diretta). Semplice e non aperto alla speranza come "La verità è che non gli piaci abbastanza" che lascia le donne (e gli uomini) di tutto il mondo appesi al filo del "però gli piaccio, che è già qualcosa".

Il film è la cosa più illuminante dopo "Sex and the city" per quanto riguarda le relazioni sentimentali, è la risposta a dubbi notturni, mattutini e pomeridiani, alle interpretazioni di messaggi, emoticon e frasette del cazzo che si dicono alla fine di un appuntamento. E non è solo un problema delle donne ma anche un problema degli uomini e questo è l'unico aspetto che non mi piace del film: il tutto è al femminile e l'uomo è visto come una specie di Satana senza sentimenti e scrupoli di ogni sorta.

Ma andiamo al succo, a ciò che ha reso questo film celebre e celebrato da ogni single con una connessione a internet e un bagaglio di appuntamenti e di messaggi confusi alle spalle. Gli ammonimenti di Alex dovrebbero essere tatuati al posto di quei tribali assurdi per ricordarci che alle volte non c'è nulla di confuso: tutto è così com'è.

Primo Ammonimento: se un uomo (o una donna) ti tratta come se non gli importasse nulla di te, non gli importa nulla di te davvero.

Non esistono caratteri difficili, complicati e comportamenti che nascondono intenzioni di altro genere. Le persone sono così prese dalle loro vite che raramente si fanno trasportare da altri interessi e quando scatta l'interesse che smuove le loro noiose vite fatte di lavoro, stress e una linea da riprendere o mantenere, fanno di tutto per avere quello scossone nella propria vita.

Secondo Ammonimento: se un uomo (o una donna) ti dà il suo numero prima di chiederti il tuo, non gli piaci.

Ok, il colpo è duro perché state ripensando a tutte le volte in cui vi hanno dato il loro numero senza avervi chiesto il vostro. O ve lo siete scambiato reciprocamente ma sembra come se il vostro telefono possa solo fare chiamate, non riceverle. Beh, pensateci: se vi trovate in una festa e incontrate due persone, una interessante e l'altra molto meno a chi chiedereste il numero? Se lo facciamo noi perché non dovrebbero farlo anche gli altri?

Terzo Ammonimento: se un uomo (o una donna) mentono spudoratamente, scappa perché non gli piaci.

Siamo tutti impegnatissimi e questo è ovvio. Però per quello che vogliamo, 5 minuti si trovano sempre. Siamo reduci da giornate di lavoro stressanti ma c'è sempre la serata infrasettimanale, il giovedì universitario e quella festa di compleanno che viene di martedì a cui non possiamo proprio rinunciare. Ecco perché la storia del "ho l'agenda piena" non regge: volontà è possibilità. Tutto condito da una grande interesse, naturalmente.

Quarto Ammonimento: se un uomo (o una donna) non sentono la scintilla, è solo una scusa per dirti che non gli piaci.

Questo è l'unico ammonimento che non mi convince molto, perché sono il primo supporter della scintilla e delle sue conseguenze. A mio parere la piazza delle relazioni scarseggia un po', più che altro oltre agli impegni di ogni giorno si sono aggiunti anche la reputazione online e trovare un posto nel  mondo che non ti faccia arrivare a quarant'anni chiedendoti "cosa ho fatto nella mia vita per essere ancora a questo punto?". Ma la storia della scintilla, a mio parere, è vera. Credo che con alcune persone si capisce tutto al primo incontro: sappiamo già se ci piacciono o meno. Non ho mai avuto dubbi su questo. Lo si sente da dentro se una situazione ci intriga o se preferiremmo stare a casa col pigiama a guardare serie tv. Sono quelle situazioni in cui il tempo sembra non passare mai, in cui l'intimità si crea immediatamente e sono anche le batoste più clamorose perché dall'altra parte si trova sempre mancanza di coraggio per dire cosa si prova.

Quinto Ammonimento: se un uomo (o una donna) stanno bene insieme con te, forse sei tu la loro eccezione.

L'eccezione è semplicemente la persona giusta con cui iniziare una storia, seriamente, senza troppe paranoie e con tanti progetti per il futuro. L'eccezione è quando scocca la scintilla per entrambi e non si ha paura di cogliere l'opportunità.

Per concludere questo film è da proiettare in tutte le case dei single e delle single ancora a caccia dell'amore e degli adolescenti così che possano capire che tutti questi giochetti sono una massa di stronzate che potrebbero essere evitate guardandosi negli occhi e dicendo cosa si prova realmente. Sarebbe un modo più onesto e meno doloroso che calarsi in una relazione senza prospettive, in cui uno dei due fantastica mentre l'altro invece neanche ci pensa minimamente. Alla fine il film invita solo a essere più coraggiosi, a buttarsi nel mare degli appuntamenti e a uscirne vivi e sempre con la voglia di creare e di costruire. Che poi è quello l'amore: una volta scattato per entrambi, è semplice costruzione. La demolizione non è per le eccezioni.

martedì 21 giugno 2016

Il mio bicchiere mezzo pieno

Questo weekend è accaduto qualcosa che non avrei mai pensato potesse succedermi, una di quelle cose che non ti aspetti. Ho vissuto ore surreali, confuse, come se fossi in un film. Un thriller però, non una dolce commedia.

Ma partiamo dal principio.
Giovedì sera ho organizzato una cena a sorpresa per un'amica che sarebbe partita nel weekend per una nuova emozionante avventura. Abbiamo mangiato, ricordato, riso tanto. E poi di corsa a casa che il giorno dopo si lavora, si studia, si fanno esami. Arriva la mezzanotte, vado a dormire, posando, come al solito, il pc sulla testiera del letto. Prendo subito sonno e poi nulla, il buio, nessun ricordo di quella notte, che è una cosa rara per me, perché solitamente mi sveglio, mi giro, mi volto e mi ritrovo sempre con un cuscino per terra. Quella notte no, quella notte solo il buio.

"Someone like you" ha iniziato a suonare. La mia sveglia era attiva ma io no, ero confuso, stordito, immobilizzato in uno stato di semi-coscienza. E una volta ripreso ho capito che qualcosa era successo, che degli intrusi erano venuti a violare la quiete della notte, del sonno per privarmi di oggetti a me cari. Per farlo in estrema sicurezza, sono riusciti anche a narcotizzarmi.

Ecco, questo è successo giovedì notte.
Alcuni potrebbero chiedersi se sia andato nel panico, se abbia preso il primo biglietto del treno per tornare a casa o se questa cosa mi ha profondamente turbato. Non è andata proprio così. Quando ho scoperto ciò che era successo mi sembrava che fosse caduto il mondo. Poi ho sentito i miei genitori e nonostante la debolezza che scorreva lenta, non era un'opzione farsi trascinare dalle emozioni, occorreva reagire. Così ho sbrigato tutte le pratiche necessarie in questi casi: denuncia e un salto in ospedale.

Ciò che mi ha dato la forza in quel momento così terribile è stato sapere che nel momento del bisogno avrei trovato qualcuno accanto a me. Perché sono questi i momenti in cui realizzi chi ti è accanto, questi i momenti che conosci chi sta facendo con te la strada. Ed è un qualcosa di meraviglioso scoprire da quanto amore si è circondati e quanto invece ci siamo sbagliati su alcune persone. Alle volte ci si fa imbrogliare da promesse, bei momenti, sguardi e attenzioni che alla fine però non sono che un passaggio, un momento. In fondo non è quello l'importante, ciò che è importante è scoprire che in questi anni hai creato dei buoni rapporti, solidi, profondi e che nonostante la distanza temporale e spaziale, ci si vuole bene come se il tempo non fosse mai passato.

Ed è bello sapere di aver costruito, è bello ricordarsi di essere una persona che costruisce, che non distrugge, che lega e non separa. E alle volte me ne sono dimenticato, ed è stato bello ricordarselo.

Questo è il mio bicchiere mezzo pieno.

Spero riusciate a trovare il vostro anche nelle situazioni più disperate: c'è sempre!

mercoledì 15 giugno 2016

Rispondete con un sonoro "Sticazzi!"

"Ma lascia perdere: è fatta così.."
"Non lo fa perché sei tu, lo fa con tutti: è fatto così.."
"Abbiamo sempre fatto così: devi adattarti!"

Chi di voi ha sentito almeno una volta nella vita una frase del genere?
Sapete come rispondo io a frasi del genere? Con un sonoro "Sticazzi!"

"Sticazzi!" è l'unico modo chiaro e conciso per dare una risposta a sentenze del genere, perché siamo tutti liberi di essere quello che siamo, di avere le nostre giornate no, di avere i nostri periodi neri e di non avere simpatia per una persona o per una situazione ma finché si vive in mezzo a persone civilizzate, si parla in modo chiaro e pacifico, si cerca il confronto, si cerca di fare un'azione propositiva che possa dare modo all'altro di capire il tuo punto di vista e di comprenderlo in modo sereno.

"è fatto così" è la frase dei sottoni, delle vittime che stanno agli scazzi altrui, giustificandoli, oltretutto, per evitare ripercussioni. Abbiamo tutti una natura, un passato, un ego con cui fare i conti, ma dobbiamo farci i conti noi, non gli altri. Abbiamo tutti idee, pareri e riflessioni diverse: imporle non le renderà migliori di altre. Subirle tacitamente non renderà migliori noi.

Ecco perché il "fatto così" è un po' una frase idiota: perché se si è sempre fatto così e se si è sempre fatto male allora è giusto guardare le cose da un'altra prospettiva, utilizzare quella facoltà umana ignara a molti chiamata empatia e togliere l'arroganza di essere fatto in un modo e di non poter più settarsi in modo tale da migliorare, da fare meglio.

Dunque la prossima volta che vi dicono "è fatto così" rispondete con un sonoro "Sticazzi!"


giovedì 9 giugno 2016

Cosa è accaduto dopo l'ultima campanella

Era il 10 giugno del 2011. Ero in classe, stavo facendo la mia ultima ora di latino e quelle 12.15 tardavano ad arrivare. Alle 12 ci preparammo, aprimmo la porta e trovammo la bidella (si, lo so, si dice operatore scolastico) più emozionata di me e dei miei compagni che fissava l'orologio mentre il suo indice sfiorava il pulsante della campanella. Avete presente i minuti di attesa prima di un parto? Ecco, la sensazione era quella. Stava per succedere qualcosa, qualcosa di stupendo che avremmo ricordato e portato con noi per molto tempo.
10..9..8..7..6..5..4..3..2..1..Driiiin!
L'indice pigiava forte sul quel pulsante, forte come il battito dei cuori di tutte le persone che avrebbero sentito per l'ultima volta quel suono da studenti, perché sapevano che all'università non ci sono campanelle e che i genitori, molto spesso, fanno gli straordinari, non hanno un orario di uscita. Nel mondo reale, purtroppo, la campanella non esiste.

Corremmo tutti verso l'entrata della scuola e lì urlammo di gioia, bevemmo spumante dalla bottiglia e poi i gavettoni, le foto, le lacrime, gli abbracci e le promesse di eterna amicizia, di eterno amore. Dopo un po' di corsa a studiare per gli esami e da lì tutto ha preso velocità. Sembra come se quell'ultima campanella avesse deviato lo scorrere del tempo, una cosa che non la spiegano durante le lezioni di fisica ma che in letteratura o nei consigli dei nostri genitori l'abbiamo sentito spesso.
"Goditi quest'età che poi è un attimo.." diceva mia madre. E così è stato: in un attimo sono volati 5 anni colmi di belle esperienze, di tanti incontri e di piacevoli momenti ma anche di lavoro, di costruzione di me stesso e di esami universitari abbastanza stressanti.

E cosa ne è stato delle promesse fatte?
A distanza di 5 anni posso dire di essere felice di come sono andate le cose: le amicizie vere sono rimaste, gli amori sono finiti e tutto quello che ho imparato durante i miei 5 anni di liceo mi ha portato a fare le giuste scelte lavorative. I miei professori li sento sporadicamente e i miei compagni di classe li frequento quando posso, non tutti, chiaramente, ma le amicizie più strette sono ancora forti come erano un tempo, forse anche di più.

Quando quell'indice ha premuto il tasto della campanella, nessuno aveva idea di cosa sarebbe successo dopo. Nessuno si sarebbe mai aspettato che da quel momento la campana di vetro che ci ha difeso per tanti anni ha perso di valore e che da quel momento in poi avremmo dovuto cavarcela da soli. Ma se c'è una cosa che non è cambiata da quella campanella, è quel continuo sognare che spero non se ne andrà mai via e quel continuo lottare per le cose che sono importanti per noi.

Che poi è ciò che dovrebbe insegnare il liceo: lottare contro i propri limiti e contro anche gli ambienti più ostili per raggiungere i nostri obiettivi, i nostri sogni.

sabato 4 giugno 2016

Esperienze Ponte

Milano è una città selvaggia, piena di vita, di azione, di emozione.
Milano è grigia, ma è piena di verde, è piccola ma completa, è caotica ma ordinata, puntuale, stabile.
Milano, insomma, è la città che crea paura, disagio, voglia di scappare se non si riesce a capire subito il suo meccanismo, la sua meravigliosa trappola di opportunità che la città offre.
In una solitaria passeggiata tra i Navigli milanesi, circondato da poca gente, coppie che si scambiavano affettuosi baci, anziani che davano da mangiare alle anatre, un gruppo di ragazzi che ridevano e condividevano storie, c'ero io sul ponte della Darsena che facevo un rapido bilancio dell'ultimo anno e mezzo.
Tante cose sono successe, tante persone hanno incrociato la mia strada e alcune hanno anche fatto breccia nel mio cuore e mentre pensavo a questo, mi sono guardato intorno e ho capito che un suggerimento utile per questo mio bilancio era il luogo in cui ero. La mia esperienza a Milano è stata proprio quello, un ponte, un collegamento tra ciò che ero e ciò che voglio diventare. Perché a questo servono le esperienze di vita: a collegare chi siamo ora a quello che vorremmo essere un domani. Ho scoperto lati di me che non avrei mai potuto scoprire stando a casa, nel caldo della mia famiglia, delle mie abitudini e del mio comfort. Ho capito cosa voglio dalla mia vita lavorativa e soprattutto da quella affettiva. Ho scoperto nuove vite che sono state per me d'ispirazione, ho avuto le mie cotte e i miei due di picche e ho provato la meravigliosa sensazione della solitudine, del riempirsi da soli, del bastarsi anche quando non c'è nessuno lì con te a dirti cosa fare e cosa dire.
Ed è per questo che spero che possano tutti provare un' "esperienza ponte" così da provare la gioia di essere solo e di riuscire comunque a sopravvivere anche in una città come Milano, così stancante eppure così meravigliosa.

venerdì 27 maggio 2016

La luce dell'alba

Questa mattina mi sono svegliato alle 5, senza un motivo reale.
Fuori l'alba stava iniziando a sorgere, così ho fatto un caffè, mi sono infilato un paio di pantaloncini, una maglia, un paio di Converse e sono andato a farmi due passi al parco a guardare l'alba che sorgeva. Che poi questo è il bello della città e il bello del vivere da fuori sede: la città nel suo caos e grigiore regala viste spettacolari anche nei luoghi più impensati, mentre vivere da fuori sede dona la libertà di farsi un caffè, mettere le prime cose che si trovano nell'armadio e ritrovarsi in un parco, su una panchina, alle 5 del mattino a guardare l'alba salire.

E poi mi guardavo attorno ed era tutto così inevitabilmente bello: c'era silenzio che in una città come Milano è un evento non da poco, poi c'erano trentenni assonnati che facevano fare la passeggiata al cane, e poi ancora chi si allenava, chi prendeva il sole e chi era in gruppo a farsi una passeggiata. Si, una passeggiata alle 5 del mattino.

Si dice molto sui poteri benefici dell'alzarsi presto al mattino, del vedere l'alba, di stare in silenzio, di osservare le persone, la natura e non il pc e devo dire che questo casuale tentativo lo ripeterò non appena potrò perché oltre a tutti i benefici sensoriali che ho provato, ce ne è uno che di gran lunga mi ha fatto desiderare che quell'alba non terminasse più: ho avuto modo di guardare da un nuovo punto di vista un po' di cose, di pensare fuori dalle mie abitudini e di accettare una verità che era da tempo sotto il mio naso e che invece mi ha arrecato fastidio per un po'.

Questa verità per il momento la tengo per me, ma se volete un consiglio, se vi svegliate prima del previsto e avete la possibilità di vedere l'alba, vestitevi al volo e uscite, magari con la luce di un nuovo giorno le preoccupazioni di ieri potranno andare via.

giovedì 12 maggio 2016

Il vero senso del "Messaggio del buongiorno"

Dagli anni 90 in poi è nata una forma di comunicazione che per alcuni è affetto, per altri è un virus letale, per altri ancora è semplicemente prova, certezza, realtà. Il cellulare ha portato a rotture e discussioni, ha incrementato il livello di stalking mondiale e ha dato via a una serie di nuove fissazioni che hanno ostacolato il già non facile percorso dell'amore. Ma a cosa dobbiamo attribuire tutto questo sconvolgimento sentimentale? Uno dei possibili avversari da abbattere è il conosciutissimo "Messaggio del buongiorno".

Il "Messaggio del buongiorno" è una nota dolente per chiunque si stia frequentando, abbia una relazione e soprattutto vive un momento di turbolenza nella propria vita amorosa. Perché il "Messaggio del buongiorno" è come il sesso: uno dei termometri della relazione. E poi il "Messaggio del buongiorno" si definisce all'inizio di ogni relazione perché nel mondo siamo tutti diversi, per fortuna, e ognuno di noi gestisce l'affetto in modo diverso. Ci sono infatti le coppie che se divise sembrano perdute, quelle che non hanno bisogno di conferme e tantissimi altri casi in cui la quotazione del "Messaggio del buongiorno" cresce e scende a seconda dei caratteri. Ma è possibile fare una classificazione oggettiva del "Messaggio del buongiorno" e se sì, possiamo attribuirgli un significato universalmente accettabile? Io ho provato a dare farlo.

1) "Il Messaggio del buongiorno all'inizio di una frequentazione" che è quello che in realtà è il più ruffiano perché mentre gli equilibri di potere di una relazione si stanno ancora assestando, con un "Messaggio del buongiorno" non solo fai capire il tuo interesse ma metti anche alla prova l'altra persona, perché se ci si sveglia e si pensa al lui o alla lei del momento, allora è un fatto abbastanza importante togliere l'armatura e rivelare che "sei il primo mio pensiero che al mattino mi sveglia"!
2) "Il Messaggio del buongiorno automatico" che è quello più brutto a mio parere. Questo tipo di messaggio viene mandato da un automa che non dando valore alle relazioni lo manda di default senza accorgersi che dall'altra parte c'è qualcuno che magari ci crede anche. Perché il "Messaggio del buongiorno" è una scelta, non un obbligo e farlo come se fossimo automi non è corretto.
3) "Il Messaggio del buongiorno di Cupido" è quello vero di chi nella relazione ci crede e lo dimostra senza se e senza ma. Questo tipo di messaggio non è calcolato, è spontaneo, non attende che sia l'altra persona a mandarlo perché sa bene che ne riceverà uno indietro della stessa portata sentimentale.
4) "Il Messaggio del buongiorno perché ti devo fare un favore" è infine quello più triste, perché c'è una persona che ha bisogno di attenzioni e un'altra persona che si ritrova in una relazione e neanche conosce il perché. Ed è un messaggio falso, una perdita di tempo e di caratteri, inviato solo perché con Whatsapp è tutto gratuito e non ci perdi poi tanto tempo a inviarlo.

Dunque per concludere, che cos'è il "Messaggio del buongiorno"?
Il "Messaggio del buongiorno" è una scelta, che viene fatta ogni giorno, è un "anche oggi scelgo te, scelgo noi" e non una dimostrazione di intenzioni ma una dimostrazione di azioni. Con il "Messaggio del buongiorno" si può dire tanto ed ecco perché quando una storia giunge al termine quel dannato messaggio ci manca da morire, perché il significato universale che possiamo attribuirgli è essenzialmente "Io scelgo te" ed è una cosa che lusinga di questi tempi quello di essere scelti e quello di scegliere in un mondo in cui c'è gente che il "Messaggio del buongiorno" lo manda di default a un'intera rubrica solo perché è veloce e indolore. Dunque prima di mandare un "Messaggio del buongiorno" senza attribuirgli un significato reale, chiedetevi se non è meglio dedicarsi ad altre attività. Siamo più di 7 miliardi nel mondo, perché scegliere o farsi scegliere solo perché è gratis?

mercoledì 4 maggio 2016

Dire "Mi manchi" è per persone coraggiose

Molte volte prendo caffè, faccio telefonate o invio messaggi con i miei amici e capita che si parli delle relazioni del passato, di chi per un periodo è stato nella nostra vita e oggi non c'è più. Mentre ritornavo a casa dal lavoro, pensavo a come mai è diventato così difficile staccarsi dalle situazioni passate. Poi ho aperto il telefono e la soluzione era lì, davanti ai miei occhi: siamo online, le nostre vite sono online e sono online le vite di coloro con cui abbiamo un passato. Sappiamo tutto, tutto è facilmente accessibile: dove sono, cosa fanno, con chi sono e che pensano. E quando hai passato del tempo insieme ad una persona diventa facile capire il suo linguaggio e ancora più facile capire il non detto, il taciuto. Ciò che era un enigma, può avere una risposta sui social network.

Così, se non si hanno dei buoni amici al proprio fianco, c'è la possibilità di sentirsi soli perché non si comprende perché improvvisamente si torni indietro di alcuni mesi, alle volte anche anni e ci si chiede se si è l'unico o se è un problema di tutti. Parlando con dei buoni amici, si capisce che la situazione è così per tutti. A mio parere con i social media si cade nello stesso schema mentale: andiamo avanti ma quando i social mostrano un aggiornamento di una determinata persona, la curiosità prende il sopravvento e un principio di stalking prende il sopravvento. Io credo e lo scrivo spesso anche, che il passato sia un fardello da cui bisogna assolutamente liberarsi prima di andare avanti o si fa la fine di Jacob Marley e ci si ritrova a camminare per le strade trascinandosi lunghe e attorcigliate catene. 

Ma allora quale può essere la soluzione? Come è possibile liberarsi dalle persone del nostro passato che essenzialmente ci mancano? Intanto cancellare ogni riferimento alla propria vita passata da tutti i social che possediamo, cliccare sul "Rimuovi" o sul "Non seguire più".  Perché, in fondo, per quale motivo, è utile sapere la vita degli ex? Semplicemente perché ci mancano e dire "Mi manchi" è togliere strati di armatura confezionata nel tempo ed è un'azione rischiosa, imprevedibile e abbastanza incosciente. Dire "Mi manchi" è potente quasi come voler dire "Ti amo", presuppone che si voglia tornare alla situazione precedente. Ma di fatto, c'è da chiedersi. vogliamo davvero tornarci o è semplicemente una mancanza dovuta ad una situazione di comfort? Perché forse è questo il punto. Ci manca il benessere provocato da quella persona, non la persona. Ci manca il messaggio che colpisce, la telefonata, le labbra e perfino il sesso. Ed è confortante avere una routine, ed è quello che forse realmente ci manca.

Dunque forse dobbiamo solo affrontare le mancanze in questo modo: guardandole a distanza, con la sicurezza e la certezza che l'unico modo per entrare in una nuova zona di comfort sarà un modo totalmente diverso, nuovo e unico, come lo sono stati i precedenti. L'autoconservazione è nella natura umana ma bisogna superarlo, perché a forza di proteggersi dal dolore si rischia di rimanere chiusi, fuori dal mondo, solo per paura di dover dire nuovamente "Mi manchi". Allora via dagli specchi che riflettono il passato e iniziamo a dare forma al nostro futuro, perché i "Mi manchi" sono utili se sono bidirezionali, se sono unidirezionali, sono solo tristi. 

giovedì 21 aprile 2016

Il bicchiere non è mezzo pieno o mezzo vuoto: il bicchiere non esiste

Solitamente siamo soliti dirci di vedere il bicchiere mezzo pieno, anche nelle situazioni più disperate.
Io però ho pensato realmente che la questione non è vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, la questione non è guardare il tutto da un punto di vista positivo, il punto è che semplicemente non esiste nessun bicchiere e nessun pensiero positivo. Ci può essere un'attitudine, come quella che ho io, nel pensare che tutto accade per un motivo, dandosi così delle spiegazioni propositive ma non positive, perché essenzialmente se una situazione è di merda, si può essere positivi quando si vuole, sempre di merda resta.
A mio avviso bisogna invece prendere anche la parte negativa delle situazioni, anche ciò che non è andato, bisogna abbracciare il dolore e la difficoltà e accoglierla perché solo in quel caso sarà possibile godere di una vera gioia quando se ne presenterà l'occasione.

Credo nella fortuna, nel sudore.
Dunque credo anche nella sfortuna e nell'ozio.

Ogni cosa nella vita ha il suo opposto e bisogna saper abbracciare entrambi i lati degli opposti o non sarà mai possibile trovare il bello in quello che è davvero bello. E dico questo perché trovo gente perennemente annoiata dalla vita, senza entusiasmo, con un sorriso forzato, perché con questa storia del pensare positivo ci si sforza a essere contenti anche quando uno ha semplicemente bisogno di starsene un po' da solo a leccarsi le ferite o a farsi passare lo scazzo momentaneo.

Dunque pensiamo propositivi, perché a forza di pensare positivo sta diventando tutto dannatamente piatto.

lunedì 11 aprile 2016

Siamo tutti nella stessa barca: conversazioni telefoniche tra vite sentimentali a pezzi

Le divinità creatrici ci hanno dato il dono del linguaggio semplicemente perché prevedevano che prima o poi gli esseri umani avrebbero sviluppato una capacità innata nel mettersi nei casini e sapevano che se non avessero condiviso con gli altri i propri problemi, il mondo sarebbe stato popolato da esseri umani con un crollo nervoso a settimana. Fortunatamente invece godiamo del dono della parola, dello smartphone e delle grandi amicizie, quelle storiche, in cui due persone sono cresciute insieme e sanno così tante cose l'uno dell'altro che raccontarsi diventa istinto di sopravvivenza, non un piacevole passatempo. In questo caso ho il mio esercito personale di grandi amici, quelle poche ma perfette persone a cui raccontare ogni minimo e insulso dettaglio della mia incasinatissima vita e dell'ancor più incasinata vita sentimentale. Ci spalleggiamo, ci sosteniamo e sosteniamo anche l'economia dei gelati, della Nutella e della vodka. Questo è certo.
Ad ogni modo ultimamente la situazione è questa: a partire dal mio personalissimo vissuto, non c'è una storia che stia avendo un finale positivo. Praticamente il mio smartphone è pieno di registrazioni, messaggi e telefonate di ore in cui ci si lamenta di come stanno andando le cose in campo amoroso: ex che ritornano, storie senza un perché, scopamicizie travestite da storie importanti e scuse, lacrime, sesso e sentimenti non corrisposti. Un disastro senza precedenti. Roba che in playlist abbiamo Adele al primo posto.
Però è proprio questo che ci fa andare avanti: sapere che per quanto ci prendiamo colpe che non sono nostre, per quanto non ci piaccia ciò che vediamo allo specchio e per quanto il passato sembra non passare mai realmente, ci sono quelle persone che sono lì a confermarti che non sei l'unico disastrato, che siamo un club, una tribù, un gruppo di giovani vite a caccia di conferme che sembrano non arrivare mai. E l'unica conferma che abbiamo è che quando le cose vanno male, c'è sempre qualcuno che con un film, una bottiglia o una semplice chiacchierata, ti fa capire che siamo tutti terribilmente nella stessa barca.

giovedì 31 marzo 2016

Certezze ritrovate

Il mio motto è "Tutto accade per un motivo" e fino ad ora non mi sono mai ricreduto. Tutto ciò che è successo in questi 23 anni ha avuto un significato, anche se per alcune cose c'è voluto del tempo per capirle nel profondo. Sono partito con tanti bagagli e un solo sogno: trovare il modo di fare quello che mi piace, quello per cui ho studiato, quello che so fare meglio. Volevo crescere con chi era del mestiere, volevo formarmi, volevo imparare a cavarmela da solo e dopo un anno e mezzo devo dire che ancora il traguardo è molto lontano. Sempre che ci sia un traguardo da raggiungere.
Ho lasciato la mia casa, la mia stanza, la mia famiglia, i miei amici, i miei bellissimi cani e ho lasciato una parte di me stesso, una parte equilibrata, calibrata, forte e preparata. Non c'è nulla da fare, quando cambi città, nonostante tutta la motivazione del mondo, ti ritrovi ad essere un'altra persona, soprattutto all'inizio, quando non conosci le strade, i luoghi e le persone e tutto deve acquistare un senso, un senso che a dirla tutta è difficile da trovare.
E dopo un po' che sei uscito di casa, dopo un po' che hai combattuto per ottenere il tuo posto nel mondo, le difese si abbassano, la stanchezza si fa sentire e c'è bisogno di tornare per riacquistare energie e motivazione. E ogni volta è così. Ogni volta che torno a casa le certezze vengono ritrovate. Basta poco: una serata tra amici, una cena in famiglia e le vibrazioni della mia casa. Solo queste piccole cose mi fanno ritrovare la motivazione, rimettono in piedi le mie certezze.
Sono certo infatti, di avere a casa infatti una famiglia che mi sostiene, degli amici, che nonostante il tempo e lo spazio ci divida, sono realtà, presenza, costanza e sono certo, sempre di più che se fossi rimasto non sarei cresciuto come ha potuto farmi crescere questa esperienza.
Ed ecco perché se posso dare un consiglio ai miei coetanei, è quello di partire, prendere i bagagli e andare. Perché per quanto possa essere dura, per quanto le forze possano venire a mancare, c'è una certezza che nessuno potrà mai togliervi: che una volta a casa, sarà tutto come prima.

Cesare Pavese diceva e io condivido pienamente: "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti" 

lunedì 14 marzo 2016

Colloqui di lavoro: cosa fare, cosa dire e cosa non fare e cosa non dire

Il colloquio di lavoro è sempre motivo di forte ansia e forte stress perché se si manda un curriculum e si viene scelti, sicuramente l'ansia da prestazione è alta. Ecco perché ho deciso di scrivere questo articolo, per poter essere preparati, per essere pronti e non fare brutte figure: "rem tene, verba sequentur" diceva Catone, cioè "se conosci l'argomento, le parole verranno da sole".

1° Quando si riceve un appuntamento bisogna sempre essere onesti: se si ha già un impegno importante (parlo di matrimoni, battesimi e funerali, non di feste di compleanno) bisogna essere onesti e dirlo. Dall'altra parte del microfono c'è una persona che se vi ha selezionato tra tanti ha le sue ragioni, dunque dovrebbe essere disponibile a darvi un'altra data o un'altro orario per le selezioni.

2° Quando si è preso l'appuntamento per il colloquio di lavoro bisogna iniziare a "studiare" l'azienda e tentare di capire con chi si andrà a parlare. Guardate sul sito internet dell'azienda, leggetevi le notizie che la riguardano e se l'intervistatore vi dice nome e cognome, fate ricerche anche su di lui/lei. Arrivate al colloquio preparati perché una persona che è preparata mostra interesse e determinazione e acquisterà punteggio in fase di colloquio.

3° Arrivate al colloquio di lavoro un quarto d'ora prima del previsto: non accadrà mai che si è in anticipo rispetto alla tabella di marcia, però, perché rischiare? Arrivare prima è sinonimo di interesse e di rispetto per il lavoro altrui.

4° Arrivate al colloquio muniti di 2 copie del curriculum vitae e dei progetti che avete sviluppato. 2 copie perché molto spesso non sarete intervistati da una sola persona, ma da due o più. E se è il primo lavoro per cui venite chiamati? Nessun problema! L'importante è avere almeno 2 copie del curriculum così da dimostrare quanto siete attenti e previdenti.

5° Quando siete a casa e dovete decidere cosa indossare per il colloquio, pensateci bene. Se siete degli uomini, una camicia, un jeans e un paio di scarpe tra lo sportivo e l'elegante sono sempre apprezzate. Se siete delle donne un abbigliamento femminile ma non sexy e non da donna in carriera saranno una mossa vincente. Non c'è bisogno di una scollatura profonda per avere un lavoro e non bisogna essere comode con le scarpe basse, perché, che lo vogliate o meno, il look conta nel posto di lavoro. Proprio per questo coprire tatuaggi e togliere piercing vari sarebbe da preferirsi, non perché non siano belli, ma perché sono i datori di lavoro a scegliere voi, non il contrario e se al datore di lavoro non piacciono i tatuaggi, il problema è il vostro. Il lavoro, per fortuna, è anche estetica. Naturalmente è possibile trovare datori di lavoro che concedono tatuaggi, piercing e tinte appariscenti, ma fino a che non dovete essere assunti, mostrate cosa sapete fare e come siete, non chi siete. Per quello avrete tutto il tempo del mondo, una volta assunti.

6° L'educazione è apprezzata, la timidezza no. Per quanto sia una parte caratteriale estremamente personale, durante il colloquio di lavoro bisogna tentare di emergere, di essere al centro dell'attenzione, soprattutto quando si è in un colloquio di gruppo. Questo non vuol dire ostentare, essere arroganti o eccessivi ma dar voce alle vostre qualità e alle vostre competenze professionali ogni volta che occorre.

7° Ricordatevi di essere sinceri: se vi viene chiesto se conoscete l'inglese, l'informatica o altre competenze specifiche, rispondete il livello della vostra preparazione. Ad esempio, io conosco l'inglese e ho studiato anche in college in Inghilterra e in Irlanda, ma quando mi viene chiesto rispondo che sono a un livello C1, non dico di saperlo, perché non sono un madrelingua. Se non conoscete il vostro livello di inglese, di informatica o altro, ci sono molti test online che sapranno darvi una risposta.

8° Non chiedere mai del salario o del contratto: se neanche sapete se siete stati scelti, come potete chiederlo? I colloqui di lavoro funzionano così: l'azienda mette un annuncio, l'azienda sceglie dei candidati, seleziona i candidati, fa una proposta contrattuale e il candidato decide se accettarla o meno. Ecco perché il candidato non deve mai chiedere informazioni sul contratto o sul salario: verrà informato a tempo debito dal datore di lavoro una volta che verrà selezionato.

9° Siate attenti a ciò che accade nel mondo, siate informati e preparati: alle volte può succedere che si possa parlare di ciò che avviene oggi nel mondo. Siate attenti anche al linguaggio usato, ai termini, alla postura e alle domande che vi vengono poste: se non avete capito una domanda, chiedete di ripeterla.

10° Una volta finito il colloquio aspettate che si facciano sentire e se non dovesse accadere bisogna fare tesoro di quest'esperienza e cercare di capire dove è possibile migliorare, ricordando comunque che non per forza c'è stato un errore commesso ma che il mercato del lavoro è molto competitivo e dunque anche un ottimo colloquio di lavoro può essere oscurato da un candidato più preparato. Ma niente paura: acquisendo sempre più esperienza riuscirete a superare ogni tipo di colloquio, bisogna solo ricordarsi che ogni colloquio è utile, anche quelli che non riescono bene.

In bocca al lupo a tutti e per qualsiasi consiglio chiedete pure a Comunicazione Ordinaria.

martedì 8 marzo 2016

Perché l'8 marzo non mi convince

Lo ricordo come fosse ieri: il nuovo millennio era appena arrivato e la mia insegnante mi raccontò la storia dell'8 marzo, la fabbrica, il fuoco, il ricordo. Tutto molto commovente, tutto molto giusto. Però io con le giornate della memoria ho un problema: mi sanno un po' di contentino per placare le folle. Mi spiego meglio:
- il 1 Febbraio è la giornata della memoria della cultura dei nativi d'America
- il 27 Gennaio è la giornata della memoria per quanto riguarda la Shoah
- l'11 Settembre è la giornata della memoria in ricordo delle vittime del terrorismo americano

Stragi, episodi cruenti, morte, disperazione e tormento.
Abbiamo veramente bisogno di tutte queste cose per ricordare?
Mi spiego meglio:
- se non ci fossero queste giornate ricorderemmo lo stesso?
- perché alcune categorie hanno le loro giornate e altre no?
- i bambini morti nelle fabbriche durante l'età industriale non meritano una giornata del ricordo?
- e i medici, i giudici, gli infermieri e gli scrittori che hanno salvato vite e che hanno cambiato vite, loro non meritano di essere ricordati?
- e in fine, serve davvero il sangue sparso per ricordare?

Io non credo.
Credo che le donne come tutte le altre infinite categorie a cui rendere grazie, non necessitano di un fiore o di una giornata per essere ricordate e per essere ringraziate. Credo che invece bisognerebbe dirsi molto più semplicemente "Grazie" ogni volta che è necessario, bisognerebbe ricordare ogni giorno che passa e non quando qualcuno lo decide per noi.
Perché è bello avere delle giornate della memoria ma sono accadute così tante ingiustizie nella storia che ricordare una categoria piuttosto che un'altra mi sembra scorretto.

Dunque, come vuole la tradizione, faccio gli auguri alle donne del passato, a quelle del presente e a quelle che ci saranno nel nostro futuro. Faccio gli auguri al genere femminile e alla femminilità che fa del mondo un luogo più bello, del ricordo un momento più intenso e dell'amore delle storie dal sapore diverso. Faccio gli auguri a tutte, nessuna esclusa, ricordando però che la celebrazione delle donne non deve avvenire solo oggi, ma ogni giorno, con una porta lasciata aperta, con un posto lasciato libero, con un pensiero, un complimento e soprattutto con un bacio.

Auguri donne!

sabato 27 febbraio 2016

Pretese di un orgasmo mancato: energie sessuali e Cirinnà.

La situazione è questa: siete sotto casa, eccitati, vi baciate, vi palpate e non resta altro che entrare nell'edificio, correre verso l'appartamento e sfogare le energie sessuali dei corpi. Via una camicia, strappa i bottoni, scende la zip e l'intimo si perde tra le lenzuola, Eros e tutti gli dei greci incitano l'unione. Unghie nella schiena, lingua, cambiamo posizione e poi il dramma: qualcosa non va, non come vorremmo almeno o va troppo veloce, in fretta, "Calma!" e visse per sempre felice mentre l'altra persona stava per arrivare alla felicità, ma evidentemente non questa volta.

Succede nel sesso, nelle coppie stabili, nelle serate da una botta e via e nelle coppie neonate: qualcuno viene appagato, qualcuno un po' meno. Come interpretare questo schema sessualmente inappagato? Mancanza di esperienza. Sapete, ho capito che per arrivare a fare del buon sesso bisogna che ci sia dall'altra parte del letto una persona con un livello di esperienza simile al tuo o leggermente maggiore, perché nel sesso, come nella vita, se sei una persona aperta alle nuove esperienze e alle nuove sensazioni, puoi solo che migliorare i tuoi pensieri e le tue abilità. Mentre se ti confronti con chi ne sa meno di te, allora assumi il ruolo di istruttore e la questione si fa abbastanza noiosa.
Ma alla fine è qual è la cosa importante di tutta questa situazione? Fare del buon sesso.
E se l'altra persona non è preparata in materia? Con pazienza e comunicazione, la si fa arrivare al livello desiderato.
Il risultato? Notti da ricordare.

Ora, chiusa la parentesi sessuale, parliamo della questione Ddl Cirinnà. Non voglio parlare delle porcate politiche fatte dalle varie fazioni, dai movimenti e dai politici che con le loro dichiarazioni meriterebbero di lavorare nelle reti fognarie e non al Senato, voglio parlare di ciò che si è ottenuto con la votazione positiva della legge.
In primo luogo l'Italia ha le unioni civili: abbiamo risolto il problema del mancato riconoscimento dei diritti, del mancato riconoscimento di una coppia davanti alla legge, abbiamo dato a tutte le persone, omosessuali e non, parità di uguaglianza di fronte allo stato. Eppure i movimenti LGBT sono parecchio infuriati con Monica Cirinnà e con il nostro Senato. Perché? Perché la Stepchild Adoption non è passata e perché non è stato messo nella legge il vincolo di fedeltà. Eppure la questione non è così semplice come sembra:

  • la Stepchild Adoption non è passata ma è stata inserita una tutela, cioè saranno i magistrati a decidere caso per caso quando applicarla 
  • la fedeltà è un valore morale ma soprattutto personale, non lo deve dire la legge di essere fedeli
    è un aspetto legato all'intimità della coppia

    Spiegato ciò possiamo solo gioire di questo inizio, perché di inizio si parla, perché un passo avanti è stato fatto, piccolo o grande che sia, un passo avanti è stato fatto. Roma non è stata costruita in un giorno e neanche il corredo dei diritti dell'uomo. Al momento io mi ritengo soddisfatto del momento storico, certo è che c'è ancora molto da fare ma diamo tempo al tempo e soprattutto, educhiamo le persone all'uguaglianza, educhiamole alle possibilità della vita. 

lunedì 22 febbraio 2016

Ecco spiegato perché gli opposti si attraggono

Si dice che gli opposti si attraggono.
Io non ci credo molto, credo che gli opposti si mandano vivacemente a quel paese semplicemente perché non si conoscono. Si, alla fine è proprio quello il problema: una persona si può dire opposta ad un'altra solo quando la si conosce e frequenta realmente. Per il resto è tutta superficie. In potenza potremmo conoscere nuove persone ogni giorno eppure ci fermiamo sempre di fronte a scelte estetiche e di vita differenti dalle nostre.

Pensateci: se vedeste una suora per strada, andreste mai da lei anche per chiederle un'informazione stradale? E se fosse un ragazzo con rasta, orecchini e tatuaggi? E una donna sulla sedia a rotelle? E una trans che si prostituisce?

No, nessuno di voi sceglierebbe queste tipologie di persone per chiedere anche una semplice informazione sulla strada da prendere per arrivare a destinazione. Perché? Perché sono persone totalmente diverse da noi per estetica e stile di vita. Eppure nessuno di noi si ferma mai a pensare che quelle persone sono prima di tutto "persone", che sono stati figli, che molto probabilmente lo sono ancora, che hanno una storia, un passato, una memoria. Solo perché la loro storia, il loro passato e la loro memoria sono diversi dai nostri allora li escludiamo categoricamente, come se avere una storia, un passato e una memoria alternativi al nostro li rendesse automaticamente fuori dalla nostra giurisdizione relazionale.

Eppure anche il nostro partner ha una storia, un passato e una memoria diverse dalle nostre e molto probabilmente se le cose non fossero andate in un certo modo non avremmo mai avuto l'occasione di conoscerci e di stare insieme eppure perché il nostro partner, seppur diverso, lo accettiamo mentre l'estraneo dalle nostre attitudini sociali no? Forse ci hanno detto così tante volte di non accettare caramelle dagli sconosciuti che ora ci troviamo a essere giovani adulti con la certezza costante che se qualcuno che non conosciamo ci parla è perché vuole fregarci.

Accade la stessa cosa in amore. Due persone non si conoscono e scappano o tentano di agguantare il maggior potenziale di potere disponibile. E ci si scorna, ci si stuzzica e si raccolgono le proprie ragioni. Quando invece l'unica cosa da fare sarebbe rimanere in silenzio, alternarsi parlando di quello che si è, senza la necessità di trovare punti deboli da colpire e andare a dissotterrare l'ascia di guerra dell'ultimo confronto. Bisognerebbe starsi ad ascoltare, aperti, soprattutto verso l'opposto, perché verso il simile la questione è facile e i problemi risolvibili, è nella diversità che si trova invece la vera bellezza di un'amore caratterialmente sbagliato, umanamente giusto.

martedì 16 febbraio 2016

Pene di San Valentino perduti

San Valentino è una delle festività più chiacchierate dell'anno.
Supera il dibattito panettone versus pandoro, quello su dove andare a Pasquetta e soprattutto quale invito di Capodanno accettare.
A San Valentino c'è un mix di fazioni e di opinioni che manderebbe i server di Twitter nel panico.

Ad ogni modo questo San Valentino per me è iniziato venerdì sera, alle 19.30 circa: lo si percepiva nell'aria. Ero in stazione ed erano tutti intorno a me: gli innamorati in attesa delle loro metà arrivate da tutta Italia per passare un weekend d'amore.
I ragazzi erano lì ad attendere le loro dame con mazzi di fiori e grandi sorrisi.
Le ragazze erano attraenti, emozionate e con lo sguardo carico di aspettative.
Poi arrivavano a ondate, chi da Roma, chi da Napoli, chi da Bari e l'incontro era la cosa più bella: avrebbe sciolto il cuore di pietra anche del più insensibile degli esseri umani. C'erano baci, abbracci, occhi lucidi e battiti accelerati. Insomma il cliché di San Valentino era lì, forte ed evidente.

Ma nonostante questo episodio quest'anno sono stato circondato da cuori infranti, da persone ferite, da storie travagliate mentre quelle coppie stabili molto semplicemente non avevano tempo, avevano bisogno di fare una cosa veloce, semplice e diretta. Il problema qui è vario:
- da una parte ci sono quelli che odiano San Valentino perché sono single
- dall'altra quelli che sono accoppiati ma annoiati
- infine i menefreghisti che a dirla tutta, sono quelli che vivono meglio

C'è questo mito del San Valentino che porta le persone a struggersi se sono sole o a evidenziare il fatto che sia la festa degli innamorati e non dei fidanzati e questo atteggiamento è maturo quanto un casco di banane nere.
Insomma quale può essere il problema dell'essere single? Cosa ha di meno un single rispetto a una persona accoppiata? L'amore? Forse, ma anche se gli mancasse l'amore di una persona e/o per una persona, siamo sicuramente circondati da tanto amore nei nostri confronti e tanto che diamo noi agli altri, dunque l'amore non ci manca. Manca il mito dell'amore romanzato, dell'amore da favola, quello che ti fa perdere il sonno e ti fa emozionare. Manca quello ma è una possibilità di chi si sa mettere in gioco, chi gioca in difesa non può provarlo.

E allora perché struggersi?
Perché siamo ancorati a doppio filo a situazioni del passato che hanno lasciato del gusto troppo dolce nei nostri ricordi facendoci cadere in un'assuefazione da amore passato. Quando finisce una relazione solitamente si sta male per il semplice fatto che c'è una dipendenza da cui siamo affetti che deve essere sradicata. Dipendenza non solo della persona a cui eravamo legati, ma anche della persona che eravamo noi con lei. In molti credono che l'anima gemella esista e che esista per completarci. Opinioni divergenti. Io credo che sia solo una semplice scusa per coprire il fatto che non siamo risolti, non siamo apposto con noi stessi, che non siamo liberi dal passato ma consapevoli di esso. Ed è questo che rende alcune categorie di single tanto tristi:sperare di tornare ad essere di nuovo la persona che si era nella precedente relazione. Ma io non credo che questo possa accadere, perché il nostro essere in relazione ad una persona cambia a seconda della persona che abbiamo davanti.

Ecco perché è necessario slegarsi il prima possibile da una relazione passata: ogni volta che finisce un amore, un'altro è lì pronto per essere vissuto. Ma i nuovi amori hanno bisogno di spazio, non possono condividere il posto con il meraviglioso cadavere di un amore che non c'è più.


giovedì 11 febbraio 2016

A cosa serve la maschera: storia di piccole buone azioni

Succede ogni giorno, dalla mattina fino alla sera e alcuni anche sotto le coperte. Si indossano maschere differenti, una per ogni occasione, alle volte una per ogni persona. Si cela il proprio io, dietro a uno strato di tessuto epiteliale che si modifica al cambiamento di ciò che gli occhi vedono. Non è un caso e non è neanche una colpa. È molto semplicemente sopravvivenza, saper vivere o meglio saper vivere nel mondo che ci siamo costruiti. Si, perché pensate ai bambini il primo giorno di scuola: se non vogliono stare lì, piangono, urlano, strillano e chiedono di essere portati il più in fretta possibile a casa. Tra adulti non funziona così:

-la tua relatrice ti sta facendo impazzire? Le sorridi.
-il tuo partner ti sta dicendo una bugia? Fingi di credergli (poi vai a rigargli la macchina).
-il tuo amico è fidanzato con una strega? Diventi suo amico.

Attenzione, non sto parlando di falsità, sto parlando di autoconservazione: pensate se davvero dicessimo tutto quello che proviamo realmente anche solo per un giorno. Ci ritroveremmo licenziati, single, sul punto di morte almeno un paio di volte e infinitamente soli. Perché parlano tutti così male delle maschere ma sono le uniche che ci fanno galleggiare nel sistema di socialità contemporaneo.

Ma la storia è un processo meraviglioso che rende il futuro sempre inaspettato. E infatti al giorno d’oggi c’è sempre una situazione in cui le maschere vengono tolte e l’essenza viene rivelata. Purtroppo non parlo di amore, in quel caso togliere la maschera ed essere chi si è veramente è un’impresa epica. No, parlo del mondo social in cui la maschera cade e chi non ne ha controllo si mostra per quello che è. Ecco spuntare fuori leoni da tastiera, ninfomani, mostri d’odio e chimere di violenza, rabbia e xenofobia. Esce infatti il lato peggiore di ciò che c’è dietro la maschera perché in fondo lo schermo ci protegge e quando siamo sicuri di non essere attaccabili, tiriamo fuori il nostro lato peggiore.


E il lato migliore dove sta? Di esistere, esiste, ma quando si manifesta? Io credo che si manifesti nelle piccole cose, nei piccoli atti d’amore di ogni giorno. “Scrivimi quando arrivi a casa”, tenere la porta aperta a una signora, sorridere a un bambino che ti guarda in metropolitana, rifare il letto, “Qualcuno vuole un caffè?” e tante altre piccole occasioni per dimostrare il lato buono degli esseri umani, di quelli che anche con la maschera indosso riescono a sembrare meno mostri e più umani.

giovedì 4 febbraio 2016

Frequentazione con data di scadenza

Accade per caso o per Tinder, ma più o meno le cose vanno così: si conoscono e si piacciono, si mandano messaggi, escono, serata romantica, bacio, messaggi del buongiorno, "Vorrei essere con te", il sesso, il film insieme, poi uno dei due si stranisce, scappa, ansia, stiamo correndo, ciao e dopo qualche tempo vieni a scoprire che è lì con il profilo Facebook condiviso con la sua nuova fiamma.

Succede amici, nelle situazioni etero e nelle situazioni omo, anche se dovremmo chiamarle di più situazioni trans, perché conosci una persona e nel giro di due settimane la archivi nel tuo fascicolo personale "Persone da evitare" con tanto di foto segnaletica, targa della macchina e numero di conto.

Ecco, dalle ultime esperienze ho capito che ci sono frequentazioni con la data di scadenza e a mio parere sono le più terribili, non perché debba esserci necessariamente amore, matrimonio, figli e bambini, ma perché sono quelle in cui che se decidi di investirci un po' del tuo tempo è perché vuoi avere la speranza che il genere umano non sia popolato solamente da scarse persone con una scarsa personalità. Perché vedete a 23 anni, se hai voglia di far carriera e metti le relazioni al secondo posto, sei l'anormale, perché già a 23 anni ti ritrovi gente sposata, con figli, in attesa del secondo e tu sei lì a marciare contro le intemperie del lavoro mancante. A 23 anni, nonostante una laurea, una famiglia, tanti amici e qualche amore che ti ha ferito sei di base perso nella nebbia. Sai cosa vuoi fare, non sai come arrivarci e tenti, e sbagli, tenti ancora e sbagli nuovamente e inevitabilmente sei alla ricerca di qualcosa di sicuro. Così hai poco tempo da dedicare alle frequentazioni e se decidi di prendere un caffè con qualcuno, andarci a cena o perfino andarci al cinema è perché proprio ti piace, c'è quel qualcosa che ti fa pensare: forse ci può essere qualche possibilità di sicurezza. E invece molto spesso le relazioni più sono intense e più ti fanno sentire disilluso quando arrivano al capolinea.

Sono sempre stato fautore dell'ideale di libertà e di individualità che fa parte di ogni singola persona appartenente al globo e dunque trovo difficile e contro ogni mio principio pensare che basti una persona a liberarti dai tuoi demoni, dalle tue paure e dalla confusione più totale. Però credo nell'amore e l'amore aiuta soprattutto quando sei lì come un idiota e sorridi a un telefono che si illumina e ti dice che la persona per cui stai investendo tanto ha deciso di usare quei minuti del suo prezioso tempo per dirti qualcosa. 

Tuttavia, ne parlavo proprio ieri sera in un post cena fatto di vino e carboidrati, le ex, gli ex e quelle persone che neanche ci sono arrivate a questo status, fanno curriculum, è tutta esperienza spendibile per il futuro, è un segno a cui bisogna guardare con amore perché è proprio quella la cosa importante: aver investito con amore a delle relazioni nonostante la fine non sia stata delle migliori.

venerdì 29 gennaio 2016

Lettera aperta a chi vive nei dolori del passato

Amici, amiche, fratelli e sorelle,
è ufficiale: ne ho le scatole piene di chi si fa condizionare dal proprio passato.
Il passato esiste, non si può cancellare, non c'è rimedio al fatto che noi siamo stati forgiati da esso. Non c'è educazione che tenga: noi siamo quello che ci è successo.
Chiarito questo punto ora voglio chiarirne un altro. Il passato esiste, c'è, è reale. E poi? Lo dobbiamo portare con noi come se fosse uno di quei mini-cani che vengono vestiti e portati dentro le borse? Vorrei capire per quale motivo ci si ostina a portare questo passato dietro e a usarlo come una scusa per tutto ciò che ci spaventa del presente:
"Sai, una volta.."
"Sai, io sono stato.."
"Sai, per un periodo della mia vita.."
Perfetto, va benissimo, tutti abbiamo un passato e molto spesso questo passato non è neanche dei migliori perché se lo tiriamo in ballo ogni volta vuol dire solamente che ci ha fatto male e che molto probabilmente stiamo ancora male. E sapete una cosa? Con una probabilità molto alta questo dolore ce lo porteremo dietro finché non arriveremo alla tomba.
Chiarito questo altro punto spiegatemi perché ancora questo fantomatico passato sta lì, come uno dei braccialetti dell'amicizia che indossiamo in età adolescenziale e che impediscono un'abbronzatura uniforme in estate.
Per quale motivo questo passato deve condizionare il presente, impedire di compierlo, di agire, facendo fare la parte dei frigidi, dei senza cuore e di quelli a cui importa poco di tutto e di tutti?
Voglio dire, Kris Kardashian ha superato il fatto che suo marito sia diventato trans a 65 anni, superate anche voi i vostri demoni del passato. Capisco che lo sguardo da persona dannata sia sexy e regala fascino, ma non siete né Sharon Stone in Catwoman né Russel Crowe ne Il gladiatore.
Siamo tutti marchiati a fuoco da passati turbolenti e da persone che inevitabilmente ci hanno cambiato e hanno cambiato la nostra vita, ma non è questa una scusa adatta per lasciarsi sconfiggere così da loro. E non immolatevi martiri pensando che il male lo avete avuto solo voi e che la vita vi odia: i mali fanno parte della vita ed è per questo che io diffido molto da chi si definisce felice, perché la felicità è un'utopia perché ci sarà sempre del male nel bene e viceversa, ci sarà sempre una macchia nel bianco che si vuole far vedere.
Ecco perché bisogna lasciarsi il passato alle spalle e combattere i problemi di oggi, ciò che accade ora, focalizzarsi sul momento e viverlo e pensare che se non lo si fa si rischia di cadere nel rimorso o nel rimpianto.
Dunque amici, amiche, fratelli, sorelle, siamo umani e come tale abbiamo un passato dietro che ci ha forgiato, ma lasciamo forgiarci da un presente che possiamo controllare, così da essere più forti nel domani che tanto spaventa.

lunedì 25 gennaio 2016

Tradizionale e non tradizionale: diritti e alieni

Montecchi e Capuleti, Guelfi e Ghibellini, Angeli e Demoni, famiglia tradizionale e famiglia non tradizionale.

La letteratura parla spesso di due fazioni che si sono contrastate e che nel loro farsi la guerra sono riusciti a trovare un punto di incontro, a fare delle differenze la forza. Certo sono tutte storie tristemente bagnate nel sangue e non povere di momenti di profonda inciviltà e di disperazione ma alla fine qualcosa di buono viene sempre a galla.

Qui si parla di un conflitto storico fatto di roghi, stregoneria e sottomissione: da una parte ci sono i fautori della famiglia tradizionale ovvero uomo, donna e figli (rigorosamente eterosessuali), dall'altra ci sono le famiglie non unite da questo schema rigido ma diverse in forma, struttura e diritti. Si, perché le famiglie tradizionali godono di tutti i diritti proposti dal codice civile mentre invece chi non si trova in questo status diventa un alieno al codice civile, non è proprio preso in considerazione e come tale viene emarginato.

Ecco, già a livello intuitivo, dopo la storia dell'ultimo secolo, sapere che ad alcune persone vengono dati dei diritti ed altre no, dovrebbe far venire in mente che forse molto giusto questo non sia. Però ci sono gli smemorati, gli ignoranti e quelli che l'unica storia che conoscono è quella della loro squadra di calcio, dunque ci ritroviamo poi nella condizione che un qualcosa che dovrebbe essere ovvio, risulta anche difficile da far comprendere.

Ad ogni modo le famiglie tradizionali, spaventate dal fatto che alcuni (non loro, la loro famiglia non è per nulla toccata nella questione) potrebbero volere una famiglia diversa dalla loro, si sono unite nel nome del Signore, e si sono organizzate per protestare, per dire no alle famiglie non composte da uomo, donna e figli (eterosessuali, lo ricordo). Nascono così le Sentinelle in Piedi, il Family Day e si ritorna velocemente alla donna in cucina a pulire in silenzio e all'uomo che torna dal lavoro dichiarandosi ancora il "Capo-famiglia".

Finché è il popolo a parlare, allora si sta tranquilli. Quando sono i politici a parlare allora no, allora ci si arrabbia, perché un popolo civilizzato merita equi diritti e se coloro che dovrebbero garantirteli rispondono che così facendo la gente chiederà di sposarsi col proprio cavallo, allora ci si arrabbia, e pure parecchio, perché tu politico non metti a confronto un cittadino da un cavallo. Se lo fai non meriti la poltrona.

E così è nato l'evento #Svegliatitalia per dire ai politici che dovrebbero governarci in modo giusto, che la famiglia tradizionale di fondo non esiste, perché la famiglia è un concetto molto più intimo di quello descritto dalla legge e dalla Chiesa, perché è famiglia non solo chi con te condivide il sangue, ma anche chi condivide le gioie, i dolori, i segreti e le verità ed è per questo che bisogna stare attenti a parlare di famiglia tradizionale, perché l'unica tradizione che dovrebbe seguire una famiglia è quella di amarsi.

Dunque cari partecipanti al Family Day, la vostra famiglia tradizionale non ve la toccherà nessuno; lasciate agli altri di vivere la vita che vogliono perché la cosa vi porta così tanto tedio solo perché l'ignoranza dilaga nelle vostre menti e nei vostri schemi mentali. E prima si capirà questo, che la famiglia tradizionale, per chi così la concepisce, rimarrà intatta, prima si potrà dare a chi non gode di questo schema, diritti veri e reali, riconosciuti dal codice civile che in assenza di tali leggi proprio civile non si potrebbe chiamare.

Si ponga ora fine al conflitto, si faccia passare il disegno di legge e si porti questo stato a un livello superiore chiamato civiltà.