giovedì 31 dicembre 2015

Lo spirito del Natale Futuro: il terzo gioco di Comunicazione Ordinaria

Ebenezer ha il privilegio di conoscere la sua fine, il suo futuro e di poter imparare dalle orribili immagini che ha visto così da trovare un rimedio, una cura, una soluzione al suo avvenire triste e solitario. Come sarebbe bello, non è vero? Sapere come andrà il nostro futuro, scegliere per il meglio con la sicurezza che andrà tutto bene. Perché è questo quello che ci spaventa maggiormente: non avere la certezza che davvero andrà tutto bene.

E allora lottiamo per la luce, alla ricerca di qualcosa di più, cerchiamo il più. Che cosa sarà mai il più, io non l'ho mai capito. Perché di base secondo me l'errore della ricerca è quello di pensare che la soluzione sia all'esterno e non all'interno. Se c'è qualcosa che ho imparato da questo 2015 è che la felicità di una persona si basa solamente sulla sua mente e sul suo essere risolto, integro e non frammentato, a pezzi, alla ricerca di un collante che sia personificato. Ed è proprio quello il dramma, cercare i rimedi alle nostre problematiche usando gli altri come stampelle, quando l'antidoto al veleno è dentro di noi e soprattutto il veleno lo creiamo noi.

Questo 2015 è stato abbastanza faticoso: mi sono perso e sto ancora cercando di ritrovarmi e nel frattempo alcune certezze si sono distrutte davanti ai miei occhi, mentre altre hanno preso forma, forza e struttura. Vivo sempre alla ricerca di me stesso, della parte migliore di me, tentando di lavorare su di me e su ciò che è palesemente migliorabile. E in questa ricerca smisurata ho portato avanti tanti progetti: un blog, una carriera universitaria e tante relazioni che la distanza solitamente tende a disintegrare. E sono queste le cose che mi permettono di andare avanti, di raccogliere le forze e rinascere con una nuova pelle, come le fenici.

Perché questo è quello che siamo, realtà che muoiono e rinascono continuamente, e questo è possibile solo utilizzando la volontà di redimersi, di chiedersi scusa, di perdonarsi e soprattutto di perdonare, perché credetemi anche le menti che credono di essere più pure hanno qualcosa per cui farsi perdonare.

Dunque il mio augurio è che possiate continuare la ricerca, cambiando però la prospettiva, gli occhi, l'obiettivo e soprattutto vivere ringraziando ed essendo ringraziati per quello che sono gli altri e per quello che siamo noi per loro. Necessario e urgente è ricordare le fortune che si hanno e usare la bocca per raccontarsi, il corpo per amarsi e il cuore per vivere nella leggerezza, perché ciò che abbrutisce il tutto è vivere con l'eterna pesantezza di chi si trascina dietro fin troppi bagagli.

Buon 2016, miei cari lettori.

p.s. Il gioco? Siate sinceri con chi amate. Dicono che porti dei benefici sensazionali!

lunedì 21 dicembre 2015

Lo spirito del Natale presente: il secondo gioco di Comunicazione Ordinaria

Lo spirito del Natale Passato è servito ad Ebenezer Scrooge per ricordare ciò che è stato e che rimarrà nella sua memoria di bambino. Il tempo è passato e la vita di Ebenezer ha preso una strada diversa da quella che tutti si sarebbero aspettati da quel bambino, poi ragazzo, così altruista e amorevole nei confronti della sua famiglia e dei suoi amici. Infatti, l'uomo che andrà a incontrare lo spirito del Natale Presente non è che un avido personaggio, avaro e cattivo, amante del denaro e non delle persone a cui è legato. E lo spirito del Natale Presente, rappresentato dal noto Santa Claus o Babbo Natale, come si  preferisce dirlo, arriva per ricordargli le fortune che lui ha, riferendosi non solo al denaro che potrebbe usare per fare beneficenza ma ai suoi affetti più cari che nonostante tutto hanno ancora la speranza che Ebenezer possa essere catturato dallo spirito del Natale.

Insomma, a chi non succede di comportarsi come il protagonista del racconto di Dickens? Quante volte abbiamo pensato che il Natale che stavamo per festeggiare non sarebbe stato importante o che non sarebbe andato secondo le nostre più rosee previsioni. E raramente si pensa invece a ciò che si ha, ma ci si focalizza solo su ciò che non si ha o peggio, che si è perso. Vedete, il Natale non è che la festa della famiglia, a mio parere. E se si ha una famiglia, di sangue o di scelta, c'è il Natale. Tutto il resto è fuffa, carta, scambio di poca importanza. Se c'è la famiglia si è già fortunati, e purtroppo non tutti la pensano così, perché in pochi si fermano ad apprezzare ciò che si ha e ciò che si è, sfruttando sempre più energie a cercare altro da noi e in noi.
Una meravigliosa scusa per essere infelici. 

Ora voglio fare un altro gioco, simile a quello proposto nello scorso articolo. Fermatevi un attimo, prendete tempo per voi e pensate a tre momenti precisi del Natale e rispondete:
- per cosa siete felici in questo Natale?
- per cosa siete grati in questo Natale?
- per cosa siete tristi in questo Natale?
E dopo aver risposto, chiedetevi se ciò che sentite è in linea con il sentimento del Natale, se provate felicità per un qualcosa di reale e non per l'effimero, se siete grati alle giuste persone, non a quelle di passaggio, e se siete tristi per un motivo che fa male al cuore, e non perché il mondo non gira come voi volete.

Comunicazione Ordinaria si congeda, sperando che i suoi lettori possano comprendere il senso del Natale, soprattutto in questi tempi in cui non c'è più una distinzione netta tra bene e male, ma tra il mio credo e il tuo, in cui si agisce senza pensare alle conseguenze, facendosi prendere dalle persone più che dal proprio pensiero.
Ora è il tempo in cui ci si deve mettere in discussione, in cui si deve riconsiderare tutto e apprezzare ciò che si ha e lavorare per far funzionare le cose che non vanno come vorremmo, per trovare il nostro io con la consapevolezza di essere fortunati, nonostante tutte le brutture che proviamo sulla nostra pelle, perché abbiamo una vita da vivere e dobbiamo farlo tentando di avere il sorriso e prenderlo da chi ci è vicino se dovesse scomparire. 

domenica 13 dicembre 2015

Lo spirito del Natale passato: il primo gioco di Comunicazione Ordinaria

Charles Dickens ha scritto "Canto di Natale", la mia storia preferita sul Natale. Lo leggo ogni anno proprio in questo periodo ed è una tradizione che spero di non perdere mai, perché è un libro che ha molto da insegnare, molto da dire e ogni anno mi insegna qualcosa di nuovo, mi dice qualcosa che l'anno prima non avevo colto perché le pagine saranno sempre le stesse, ma io continuo a crescere.

Oggi volevo parlare di uno dei suoi personaggi, lo spirito del Natale Passato. Vedete, nel libro è un essere indefinito, senza sesso o età, un'entità tra l'umano e il sovrannaturale, il cui unico dettaglio certo è che alla cima del capo c'è una luminosa fiamma e che tiene sempre con sé un piccolo cappuccio. Il potere di questo Spirito è riuscire a far vedere al protagonista del racconto come festeggiava il Natale quando era piccolo ed Ebenizer Scrooge ricorda con gioia e nostalgia la sua vita passata. Quando torna al presente, una grande tristezza scende in lui, perché ciò che più gli manca non potrà averlo mai più: quello che è stato non può tornare e Scrooge lo sapeva bene. Ciò che infatti questo Spirito ha insegnato è che in Natale vissuto con gli occhi di un bambino è sempre amplificato e che più passa il tempo e più questo vedere e sentire il Natale diventa un banale osservare.

Voglio fare un gioco: prendete qualche minuto per voi e pensate a primi Natale che ricordate. Scavate nella vostra memoria e ricordate. Ora prendete tre aspetti di questi ricordi e confrontateli con la loro evoluzione, con quello che sono ora. Potreste così fare una valutazione e riuscire a migliorare il prossimo Natale, a renderlo più magico e se proprio il risultato non è dei migliori, avrete un incentivo in più a rendere questa festa ancora più bella.

Io intanto vi svelo i miei risultati:

I nonni 
Da piccolo avevo due nonne, due nonni e una bisnonna, ora ne ho solo uno, nonno Gabriele e per quanto sia triste non vedere più mia nonna Nina fare la pasta a mano o mia nonna Maria preparare l'albero e abbellire la casa come solo lei sapeva fare, ho capito che lo loro essenza, nonostante la loro scomparsa, è rimasta e ad ogni Natale spunta sempre qualche storia su di loro e in qualche modo sembra come se fossero con noi, intorno alla nostra tavolata, che ridono con i nostri racconti.

L'ansia da regali
Sin dai miei primi ricordi sul Natale avevo l'ansia dei regali: dopo aver fatto la letterina a Babbo Natale vivevo nell'ansia che mi arrivasse il regalo sbagliato, che non ne arrivassero proprio o che da un momento all'altro mi venisse in mente un altro regalo in sostituzione a quello già chiesto. Ecco, ora è tutto tristemente deciso a tavolino e data la mia mania di controllo, da un certo punto di vista, è una situazione migliore.

Innocenza, incoscienza e fiducia
Del passato mi manca l'innocenza, l'incoscienza e la fiducia che sono tre attributi possibili solo per gli occhi di un bambino. Per me il Natale era il momento in cui tutto si poteva risolvere e tutto si poteva aggiustare. Non c'era litigio, problema o conflitto che non potesse essere messo a tacere grazie alla magia del Natale. Purtroppo ad oggi è sparita l'innocenza, l'incoscienza e soprattutto la fiducia, perché ho capito che ci sono dei problemi che non sono risolvibili con la sola fede e che fingere che nulla sia successo con il "Scambiatevi un gesto di pace" del prete, non aggiusti le cose, anzi le peggiori. Ho però imparato ad avere fiducia nelle parole, fiducia che da bambino non nutrivo assolutamente: credevo nelle feste comandate, ora credo alle azioni spontanee e da questo punto di vista posso dire che è stata una bella conquista.

Spero che questo gioco vi piaccia e che possiate condividerlo con tutte le persone che amate: sarà di buon augurio!

A presto con un nuovo gioco sul Natale!

lunedì 7 dicembre 2015

Quanto una parola possa far sorridere

Ieri, prima di andare a letto, ho visto un video bellissimo, di quelli che ti fanno riflettere e ti fanno capire quanto le parole siano potenti.

Il video è semplice: c'è una ragazza di 18 anni di nome Shea Glover che va in giro per la scuola con una telecamera, ferma dei suoi compagni e dice "Sto facendo un video sulle cose che io ritengo siano belle".
Le reazioni sono differenti: ci sono ragazzi che sorridono, altri che sono confusi e perfino chi si arrabbia. E sono tutti ragazzi completamente diversi tra loro ma le cui reazioni sono molto simili: sono tutti stupidi da quel complimento, come a voler dimostrare che a loro, che sono belli, glielo hanno detto poche volte.

Il video in questione è questo: Le reazioni delle persone nell'essere chiamate belle

Mi chiedevo: come mai tanto stupore dinanzi ad una parola che circola frequentemente nel nostro vocabolario di tutti i giorni? All'inizio ho pensato che il problema fosse l'età e che giustamente durante l'adolescenza non è raro trovare ragazzi la cui autostima è ai livelli minimi. Poi ho sommato anche il fattore differenze e ho iniziato a credere che Shea abbia preso un campione non troppo rappresentativo. Infine ho capito che non è l'età o l'essere outsider che rende stupiti davanti ad una dichiarazione del genere ma che è una condizione normale dell'essere umano.

Voglio dire, abbiamo tutti parenti, amici e colleghi che ci dicono che stiamo bene con un certo look, con un certo taglio o che quel completo ci rende più attraenti del solito e questo ci rende felici, ma è una routine. Ciò che ha lasciato quei ragazzi a bocca aperta facendoli reagire in quella maniera così stupita era l'inaspettato e le reazioni che ci sono state subito dopo ne sono la prova.

Insomma, pensate a quello che facciamo tutti i giorni, in cui tutto è molto prevedibile, controllabile e gestibile, dove anche un compleanno o una festa dovuta diventa un cliché a cui siamo abituati da molto tempo. E poi pensate invece a quella volta in cui vi siete sentiti su una nuvola dopo un appuntamento riuscito bene o a quella volta in cui il cuore ha iniziato a battere più velocemente in attesa di un grande evento, unico nel suo genere. Bene, quelli sono stati sicuramente momenti di grande gioia dove si innescava un momento di sorpresa e stupore, dove c'era l'inaspettato e soprattutto dove una giornata di routine, prevedibile e poco eccitante si è trasformata in un qualcosa difficile da dimenticare.

Ecco di cosa abbiamo bisogno al giorno d'oggi, non di telefoni più tecnologici o di distanze accorciate virtualmente, ma di gente che prenda un biglietto e che parta. Abbiamo bisogno di dirci quello che sentiamo non nei giorni comandati ma nei giorni ordinari perché è proprio l'ordinarietà a rendere straordinaria una vita, un'ordinarietà che vive di momenti che fanno sorridere quando meno lo si aspetta.

giovedì 3 dicembre 2015

Domande e letteratura

Ieri discutevo con una persona molto saggia sulle persone che scegliamo nella vita soffermandoci su quelle sbagliate, quelle che poi lasciamo nel cammino e mi domandavo cosa avessero a che fare tutte queste future ex relazioni con me e con le persone in generale. In sintesi la domanda è: perché scegliamo le persone sbagliate?

Oggi poi, mentre maledicevo il tram che era in ritardo, mentre camminavo per andare in facoltà, espandevo il concetto in un rapporto più ampio e forse più pericoloso. La domanda ora non è "Perché scegliamo le persone sbagliate?" ma "Perché non ci accorgiamo subito che lo sono?"

Ho pensato ai primi appuntamenti, a quanto siano nauseanti, perché c'è un carico di aspettative troppo pesante da gestire, un carico che porta ansie e pensieri inutili, soprattutto perché la maggior parte delle volte, l'altra persona si rivela sbagliata fin da subito e fin da subito cerchiamo un modo per poter uscire da quella situazione imbarazzante. Ma quando invece ci si trova bene al primo appuntamento, decidendo di vedersi per un secondo e poi un terzo, un quarto e altri cento, perché alla fine, dopo un tempo non sempre calcolabile, arriviamo a pensare "Non eravamo fatti per stare insieme." oppure "Non eravamo compatibili." o peggio "Non era la persona giusta."?

E ripensando a ciò che è successo negli ultimi anni e alle persone che mi sono vicino ho capito fondamentalmente una cosa: se non c'è Amore agli inizi, non è la persona giusta.

Si, avete capito bene: se non scatta del vero sentimento alle prime fasi di una frequentazione, la coppia è destinata al fallimento, in quanto uno dei due penserà un giorno o l'altro "Non è la persona giusta." Perché miei cari lettori, quando c'è del sentimento da parte di entrambi e poi le cose non vanno più bene, ci si attaccherà sempre alla speranza che quel sentimento ritorni e se le persone riescono nel loro intento, la fase critica passa e si ritorna all'armonia, allo stare bene. Ma se anche una sola persona tra i due non prova qualcosa, allora saprà di certo che si sta accontentando di una situazione di banale sicurezza affettiva ai danni del vero amore.

Insomma ne sono state scritte di schifezze negli anni, ma se c'è un tema che continua perennemente da quando la letteratura è nata, è quello dell'amore.
Anche di quello che finisce in tragedia.
Guardate Shakespeare, Sparks e Dante: loro scrivono di amori finiti, di lotte, guerre e percorsi interiori per poter ritrovare la persona amata e per poterla rivivere e solitamente i personaggi delle loro storie sono tutti degli innamorati col cuore stanco ma forte che lottano per riavere ciò che sembra perduto. C'è Otello che ama Desdemona e lei che ama lui, ma il dramma succede lo stesso e non riuscendo a concepirlo, a sviscerarlo e  ad affrontarlo questo amore finisce nel modo peggiore. E lo stesso fa Romeo con Giulietta; Dante si infligge perfino un viaggio agli Inferi pur di trovare la sua amata, ciò che era il loro amore.

Perché credetemi, quando si prova qualcosa per una persona, per quanto possa finire male, anche senza la tragicità di Shakesperare, quel sentimento rimane latente, nascosto, ma c'è. Se non si prova nulla, non si è provato nulla e mai lo si proverà, allora quella relazione non è altro che paura della solitudine, della sconfitta, della verità. Ed è quella la vera sconfitta, quella di aver ceduto le armi alla difficoltà della ricerca della persona che ci ama per quello che siamo e che nonostante tutto, vuole ancora combattere per quell'amore passato, al presente sopito.

martedì 17 novembre 2015

Diario notturno di un neo 23enne

Se c'è una cosa bella dei compleanni è l'avere la possibilità di guardarsi indietro e di vedere ciò che è successo nell'ultimo anno. L'ho sempre considerato un capodanno in anticipo, un modo per rivalutare tutto, per capire cosa non è andato, cosa invece ha avuto successo, a cosa sono andati incontro i rapporti a cui teniamo e quelli che oramai non ci sono più. E in quest'anno posso dire di potermi ritenere fortunato perché ho avuto tanto amore nei miei riguardi sia dagli altri che da me stesso e non c'è vittoria più grande per me che sapere di avere così tanto affetto attorno.

Da quasi un anno ho lasciato la casa in cui ho vissuto per 15 lunghi anni, ho lasciato la mia famiglia, i miei amici, le mie strade, ciò che ho visto e vissuto per così tanto tempo e devo dire che il distacco è stato traumatico abbastanza da farmi seriamente domandare se avessi fatto la scelta giusta o se invece ci fosse bisogno di tornare indietro e rivalutare tutto. Ecco, dopo un anno, continuo a ripetere che ho fatto una scelta coraggiosa e che nonostante non abbia ancora trovato quello per cui sono partito, mi ritengo fortunato perché ho trovato molto altro, le cose giuste che mi hanno fatto crescere e hanno riempito il bagaglio che portavo dietro e lo hanno anche svuotato di paure, disagi e pessimismi.

Sapete cosa ho imparato quest'anno?

Ho imparato che la vita alle volte ha delle sfumature amare ma che c'è sempre la possibilità che il sole sorga ancora, all'orizzonte, in noi stessi e nelle nostre relazioni.
Ho imparato che le relazioni non sono fatte da chi rema in direzioni diverse, ma per chi rema in un unico verso anche se i due caratteri sono totalmente distinti.
Ho imparato che più si cresce e più è difficile creare dei legami, perché più si cresce e più le difese aumentano ed è sempre più difficile trovare qualcuno disposto a condividere le proprie cicatrici.
Ho imparato che l'amore incondizionato è potente perché supera le incomprensioni, i traumi e le delusioni e che nonostante ferite profonde si continua ad amare senza riserve.
Ho imparato che le strade potranno anche essere diverse ma che il passato unisce anche coloro che non vedremo mai più nella vita.
Ho imparato che dietro a ogni cosa c'è un messaggio nascosto, confuso e che chiede a gran voce di essere tradotto: niente è lasciato al caso, ogni cosa è meravigliosamente chiara.
Ho imparato che tutto cambia ma che certi rapporti restano nonostante la distanza, la difficoltà e la routine e non c'è niente di più bello. 

Ho imparato questo e tanto altro ancora e non vedo l'ora che in questo nuovo anno possa vivere ancora molto, possa vivere meglio e con ancora più impeto tutto ciò che la vita mi farà affrontare ricordandomi sempre che c'è in ognuno di noi c'è una quantità smisurata d'amore a cui si è destinati e che anche il periodo più buio è destinato a osservare una nuova alba.

lunedì 16 novembre 2015

Perché Inside Out non è un film per bambini

Ieri sera, con sommo ritardo, ho visto anche io il film Disney Pixar che ha mosso le folle al cinema negli ultimi mesi. Sto parlando di Inside Out, un film per bambini che poi per bambini non è e vi spiego perché.

Inside Out è il film di animazione che dovrebbero vedere tutti quelli che un giorno si svegliano e capiscono di essere dannatamente cresciuti e non capiscono come abbia fatto il tempo a volare così velocemente. La storia è semplice: c'è una bambina che è vegliata da 5 angeli custodi, Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia, ovvero le 5 principali emozioni umane che l'accompagneranno per il resto della sua vita, vedendola crescere e volendo solo il suo bene. Ogni volta che la bambina, Riley, prova un'emozione, viene creata una sfera che cattura un ricordo che poi andrà ad accumularsi con gli altri ricordi e a dare vita a delle isole felici che compongono il suo carattere.

Insomma, la storia è molto carina, divertente e simpatica ma ai bambini insegna poco, perché i bambini non possono comprendere ancora l'idea del cambiamento, del distacco e dell'abbandono e infatti quando la protagonista del film si trasferisce in un'altra città, tutto il suo mondo crolla e i suoi 5 amici non riescono a gestire la situazione spingendola perfino a comprare un biglietto dell'autobus per tornare nella sua vecchia casa.

E invece Inside Out insegna molto ai grandi, a chi sta crescendo e a chi vede che il suo mondo si sta sgretolando, come si sgretolano poi le isole felici di Riley. Chi di noi non ha reagito male al cambiamento? Qualunque essere umano cresce e cambia e questo non può che essere una ferita grave all'interno delle sue credenze costruite nell'età dell'infanzia, della pubertà e dell'adolescenza. Il film insegna che queste ferite sono un passo obbligato per accedere ad una nuova fase della vita.

Ma vediamo un attimo cosa ci possono insegnare questi personaggi:

-Gioia, è quella che può insegnarci che per far filare tutto liscio bisogna lavorare e lavorare molto, sui rapporti, sui pensieri, su di noi e che bisogna costruire per poter essere felici.
-Paura, ci insegna che alle volte bisogna che si metta da parte o resteremo lì, fermi, immobili nelle nostre credenze, senza riuscire a migliorare, perché è uscendo fuori che si vive.
-Disgusto, ha invece un ruolo chiave, perché senza di lei scenderemmo tutti a compromessi mentre invece grazie a lei si può decidere di vivere secondo le nostre regole, senza preoccuparci troppo della solitudine.
-Rabbia invece potrebbe essere d'insegnamento a molti, sopratutto in questo periodo, perché nonostante il fuoco che gli esce dalla testa, arriva il momento in cui capisce quando fermarsi e che si è fatto un evidente errore
-Tristezza, la mia preferita, quella che tutti noi cacciamo dalle nostre vite, quella che non si augura a nessuno e si cerca di placare se è insita in noi senza sapere che è solo grazie a lei che si può godere ancora di più dei momenti di gioia.

Dunque ecco perché Inside Out non è un film per bambini ma per adulti: alle volte ci dimentichiamo i nostri sentimenti di base e se c'è un film animato che può ricordarcelo, non capisco come si possa non vederlo.

mercoledì 11 novembre 2015

Il peso dei ricordi

Ero piccolo, molto piccolo e la mattina del mio compleanno sentivo la voce di mia madre che dolcemente mi svegliava. Poi l'odore forte del latte caldo e del cioccolato. Il tatto si attivava alle sue carezze, poi la vista, un po' appannata, trovava anche lei un modo per darsi da fare. E infine il gusto, non quello del latte caldo o del cioccolato, ma quello del momento, di ciò che sarebbe accaduto in quella meravigliosa giornata che era il mio compleanno. Era tutto perfetto, anche l'abbraccio frettoloso di mio padre che scappava al lavoro o il doverlo sentire per telefono se già era andato via al mio risveglio: un augurio, il suo, che si presentava come un'assaggio di un piatto più abbondante che avrei potuto gustare solo a fine giornata, al suo ritorno dal lavoro. 

Questa per molti anni è stata una tradizione che mi sono portato dietro e come tutte le tradizioni anche questa ha avuto la sua fine, perché se c'è una cosa che ho imparato negli ultimi 22 anni è che le tradizioni devono essere vissute al momento, senza sperare di avere una seconda possibilità, senza pensare che tanto ci sarà un'altra volta per poter gustare quel preciso istante. 

Si, è vero: ci sono tradizioni dure a morire e dunque non gli diamo neanche il giusto onore. Eppure le tradizioni sono un ciclo vitale, sono vissute da umani e come ogni cosa prodotta dalla natura umana, sono destinate ad avere una morte. Che poi se ci pensate, questo è meraviglioso, perché ci permette di creare nuove tradizioni, di poter fare ancora meglio, qualcosa che porti ancora più sorrisi rispetto alla tradizione precedente. Non bisogna mai mettersi troppo a pensare su ciò che è passato e che è andato, perché quel passato non tornerà più e molti passati non hanno una soluzione, sono solo lì, in attesa di essere dimenticati perché si può scegliere di dimenticare le cose in due modi: nel modo consapevole o nel modo istintivo.

E il secondo il problema. Alle volte perdoniamo e poi non dimentichiamo ciò che ci è successo e per questo accumuliamo pesantissimi ricordi, emozioni, sentimenti che non riusciamo più a gestire. Ogni cosa che non dimentichiamo si accumula, forte e sedentaria, creando un'armatura, modificando credenze e comportamenti, rendendoci più deboli poi alle avversità che ci circondano: come si può combattere se non riusciamo neanche a muoverci per il peso che ci portiamo dietro?

Ecco perché dovremmo tutti riprendere le nostre tradizioni, quelle più pesanti, che ci portiamo dietro non con leggerezza ma con pesante angoscia e lasciarcele alle spalle, creando nuovi ricordi, nuove emozioni, nuovi immagini da guardare, anche e sopratutto quelle con qualche imperfezione, perché non sarebbe vita se i ricordi e le tradizioni non ci provocassero qualche ruga e per essi non c'è trucco che regga: ciò che possiamo fare è solo lasciare tutto alle spalle e vivere per ciò che verrà.


sabato 7 novembre 2015

Guardare/Vedere/Sentire: i verbi delle relazioni

Ho sempre pensato che sia possibile catalogare le relazioni in tantissimi modi diversi riuscendo a prendere delle variabili sempre nuove e punti di vista sempre diversi. Così ho pensato che potessero essere definibili con tre verbi all'infinito, a mio parere, di rara bellezza. Questi tre verbi, Guardare/Vedere/Sentire, sono, a mio parere, gli indici di profondità di una relazione: più si sente e più si è in profondità, più si guarda e più si ammira la superficialità.

Guardare.
Possiamo guardare un film, un luogo, una persona e riuscire a ricordarne nel tempo le sue caratteristiche fisiche e le sue peculiarità. Di una persona possiamo ricordarne l'altezza,il colore degli occhi, dei capelli, il tono della voce, il colore preferito e ricordarne l'accento, un modo di dire particolare, una voglia in una zona precisa del corpo.
Sono quelle relazioni che si hanno con i conoscenti, con le persone incontrate da poco, con cui si sta bene ma non ci si conosce poi più di tanto, quelle persone che se a fine serata ognuno prende la propria strada non ci sarà poi troppa nostalgia se non dovessero più comparire.

Vedere.
Ci sono persone che riescono a vedere oltre, che riescono a catturare dei dettagli che altri non notano senza neanche conoscere poi la materia in cui si imbattono nello specifico. A distanza di tempo di una persona possono ricordare una certa luce negli occhi, un certo tipo di sorriso, possono catalogare le sfumature della voce e le volte in cui si arrabbiano per stanchezza o per ragion d'essere.
Sono quelle relazioni di amicizia stretta, di contatto, in cui si è condiviso molto o sono gli amori, quelli viventi, quando tutto è meraviglioso e ogni scoperta è ogni volta un colpo al cuore.

Sentire.
Per alcuni fortunati si possono anche sentire le persone, gli ambienti, le situazioni. Possiamo paragonare questo status di pochi eletti alla visione della nostra opera d'arte preferita all'interno di una galleria di grande valore: sentiamo il pathos, la storia, il dolore, l'amore e la morte stando lì, fermi davanti al quadro, alla foto o alla statua che ci suscita quell'emozione. Non c'è bisogno di sforzarsi poi così tanto.
Sono quelle relazioni che, volente o nolente, non potrai mai darci un taglio netto. Sono le relazioni di puro amore incondizionato e di puro amore passionale, stavolta, purtroppo, anche non più vivente.

Ed è così che nascono le relazioni e che proseguono nel loro svilupparsi. Nasce tutto da uno sguardo, prima poco attento e poi profondo. E poi ci si inizia a conoscere, a vedersi, a scrutarsi e a piacersi. Fino a quando si riesce a percepire ogni tipo di aura che emana la persona con cui ormai il rapporto è diventato sublime, alto e di grande valore. Ed è proprio il momento in cui senti una persona, ne conosci le vibrazioni minime che allora potrai affermare di conoscerla veramente.

lunedì 2 novembre 2015

Pechino Express: la vittoria delle differenze

Si, lo so, sono noioso, ripetitivo e mi scuso se sono da arresto per oltraggio alla noia pubblica ma non posso non nascondere che la vittoria degli Antipodi, Roberto Bertolini e Andrea Pinna, non mi abbia reso pieno di gioia. Insomma, quante volte nella tv nazionale, in prima serata, venga omaggiata così tanto la vittoria delle differenze?

Antipodi: già il nome è un successo.
Le personalità della coppia: un vero trionfo.
Ma spieghiamo il perché del mio gaudio.

In un articolo precedente avevo già elogiato i due partecipanti alla competizione: già alla prima puntata avevo scritto un articolo su di loro e sulla coppia degli Artisti perché erano quelli che vedevo più in gamba, con qualcosa da dimostrare e sopratutto con qualcosa da insegnare. Basta con il buonismo del "non devo insegnare niente a nessuno", Roberto e Andrea sono stati in grado di dare una voce nuova e poco conosciuta a un pubblico che una coppia del genere non la vede spesso in prima serata.

Roberto è stato definito il gigante buono, il difensore dei deboli, il protettore degli indifesi e le malelingue avranno anche potuto notare il suo sviluppato lato femminile ma è un lato con cui, a mio parere, ha un legame sereno, tranquillo che potrebbe essere d'esempio a molti. Ma prima di additarlo come un gay con la maglietta rosa che urla al contatto con gli insetti (vorrei poi sperimentare la reazione che avrebbero altri tipi di target) lui si è dimostrato un ragazzo semplice, umile, un guerriero, un lottatore e un professionista come pochi perché ha sempre motivato il suo compagno, non sempre nel modo giusto ma lo ha comunque spronato a combattere i suoi limiti, a infrangere le barriere che tutti noi ci poniamo nella nostra mente, ogni giorno, in ogni momento. Più che un personal trainer io lo definirei un life coach e l'amico che tutti vorrebbero avere quando il buio totale pervade l'aria nei momenti difficili. Una grande scoperta, un ottimo concorrente, un guerriero come pochi.

Andrea è invece il ragazzo dalle parole taglienti, lo scrittore di Catilinarie del nostro tempo, magari non nella forma ma nel contenuto sì. Per quelli che non lo conoscono a pieno, è un social media manager del proprio pensiero, un connubio tra pura sincerità e acidità, dote che solitamente allontana, perché in fondo la verità fa male eppure lui sulla verità sta costruendo un impero di seguaci. Andrea in questo percorso ci ha insegnato il valore della pazienza, dell'ironia e sopratutto dell'autoironia: si è messo a nudo pur di vincere e rappresenta ogni ragazzo o ragazza con un sogno che lotta per realizzarlo. A mio parere, è indicativo come ogni volta che si sia fermato, lamentato e chiesto una pausa, si sia poi ripreso e continuato ad andare avanti, magari col fiatone e col sudore colante, senza però arrendersi. Ora che è tornato più ricco da questa esperienza, le sue perle saranno ancora più forti e noi non potremmo chiedere di meglio.

La coppia degli Antipodi ha dimostrato tanto in questa edizione al pubblico pagante, ha dimostrato quanto gli stereotipi siano sinonimo di ignoranza, quanto possano due uomini omosessuali vivere in amicizia, possano essere forti, cadere e rialzarsi, combattere insieme e mandarsi a quel paese. Ci hanno insegnato, in sintesi, che la differenza è solo una parola e che tutto può essere compreso in un unico grande sistema sociale.





lunedì 26 ottobre 2015

Domeniche non convenzionali: un'ora con Luca Tommassini per riuscire a tirare fuori il talento

La domenica è un giorno strano: alle volte passa troppo in fretta, alle volte sembra non passare mai e alle volte si attende un'ora precisa per un evento che già si intuisce che sarà sensazionale. Ho conosciuto #LucaTommassini come il direttore artistico di X-Factor, l'ho visto dalla televisione di casa e varie volte, durante le puntate, soffermandomi sulla messa in scena di un'esecuzione, rimanevo sbalordito e pensavo che senza tutte quelle luci, quelle strutture, quelle rappresentazioni, quei corpi che si muovevano e che si coordinavano alle corde vocali del cantante in gara, non sarebbe stato lo stesso. Cavolo, Tommassini era un artista e creava veri e propri show da perdere il fiato. Presa coscienza della cosa ho iniziato a seguirlo in tutti i miei social e Luca ha mostrato la sua storia artistica, senza cadere nel gossip ma nei dati di fatto. E da allora non ho più smesso di seguirlo, ho iniziato a vedere i video in cui ha lavorato, a seguirlo più attentamente e a prenderlo come modello: le persone creative hanno delle muse ispiratrici, lui è una delle mie.

Ad ogni modo, da qualche settimana annuncia che sta per uscire il suo libro e il primo pensiero è stato: "Devo averlo!" e così è stato. I giorni scorrevano e l'attesa cresceva e infine il libro è stato pubblicato ed è bello che Luca non lo ha sponsorizzato in modo plateale, lui l'ha detto con quel suo modo intimo e confidenziale che lo contraddistingue alla sua #tommassinivirtualfamily. Non solo è riuscito a creare una community che lo segue e che gli vuole bene ma tratta i suoi fans come una vera famiglia: si pone come un parente che vive lontano ma che vuole condividere i suoi successi e le sue riflessioni con la sua famiglia. Vuole far sapere cosa fa, che progetti ha e lo vuole condividere con la sua community più fedele: è indicativo il video in cui apre il pacco contenente la prima copia del suo libro. Ed è per questo che eravamo così tanti alla presentazione del suo #FattoreT ieri sera.

Il teatro Puccini ha avuto l'occasione di ospitare questo evento a cui hanno partecipato le tante mani che hanno collaborato alla stesura del libro, le tante anime che hanno incontrato quelle dell'autore. Ed è stato un bel salotto, condotto da LaPina che magistralmente ha presentato un libro che ha qualcosa da dire, un salotto in cui si sono andati a sostituire grandi amici e grandi collaboratori di Luca, che hanno condiviso il loro vissuto, parlato delle loro esperienze con Luca ed esaltato le sue peculiarità. Tra i nomi ci sono Chiara Galiazzo, Mara Maionchi, Eliana Guerra e tanti altri. Però alla fine le parole che più mi hanno colpito sono state quelle di Luca, quando ha parlato del comunicare con gli oggetti e costruire togliendo. Si è fatto riferimento a quando Luca, da bambino, ha dipinto il suo bagno di rosa, per far piacere alla madre o quando ha conosciuto Chiara Galiazzo e ha capito che lei non era fatta per gli abiti eccentrici e che dunque lei sul palco sarebbe stata rilassata solo con abiti in cui si sentiva a suo agio, solo in quel modo poteva esprimere il suo potenziale. Poi il "togliere per costruire" è una filosofia meravigliosa: togliere tutte le strutture che ci impediscono di esprimerci per riuscire finalmente a rappresentarci come vogliamo. Un'idea che in molti trattengono per paura di essere quello che si è in realtà.

Ed è proprio di paura che abbiamo parlato io e Luca durante il breve momento del firmacopie: non ha avuto bisogno di sentirsi importante, lui ha fatto accomodare ognuno dei suoi fan e ha chiacchierato con loro, ha chiesto quale fosse il talento e il sogno, quali le ambizioni e quanta fame avessero. Una chiacchierata con un parente che non si vede da tanto, che fa una vita da favola e che può indirizzarti sulla strada giusta per poter superare le fatiche che portano alla favola. Come ho detto io e Luca abbiamo parlato di paura, quel sentimento che ti incatena il cui carnefice e vittima collimano nella stessa persona e lui mi ha detto tante cose belle, non scontate, non banali e ha espresso un talento che ammiro molto nelle persone: riuscire a vedere le cose da un altro punto di vista, ed è questo suo punto di vista differente e illuminato che lo ha reso famoso in tutto il mondo.

Ora vi lascio che devo leggere Fattore T e se avete un sogno, un'ambizione, un fuoco dentro che non riesce a liberarsi, allora leggete il libro: è dedicato proprio a quelli come noi.

mercoledì 21 ottobre 2015

Il ragazzo e la ragazza con cui non dovreste mai uscire: il caso Iceman e il caso Firewoman

Da piccoli ci leggevano le favole i cui protagonisti erano esseri leggendari: uomini pipistrello, donne sirene, cavalli volanti e piante parlanti. La magia viene mostrata ai bambini come lo strumento che va in soccorso dei prodi e dei valorosi e che invece si ritorce contro chi la usa per fini sbagliati. Durante la crescita i genitori negano tutto: la magia non esiste. Dopo aver superato il trauma crediamo davvero che la magia non esista e continuiamo la nostra vita di ordinaria difficoltà. Arriva poi il momento degli appuntamenti, degli innamoramenti, delle cazzate sentimentali. Dico cazzate perché se prima dei 18 anni siamo tutti giovani, incontaminati e vergini da traumi, dopo quell'età siamo tutti immensamente isterici, sospettosi e certi che la fregatura è lì e da un momento all'altro spunterà fuori.
Ma in questa ricerca spasmodica dell'altro Noi, per alcuni arriva il momento di imbattersi in una delle due figure mitologiche delle relazioni che ci faranno perdere tempo, speranze e occasioni di altra natura. Sto parlando degli appartenenti al mondo magico delle cause perse, degli ammaliatori seriali, delle sirene d'Ulisse, sto parlando degli esemplari di Iceman e di Firewoman.
Analizziamoli più da vicino:

Iceman è un tipo che se lo si vedesse per strada e non gli si darebbe un soldo. Per sbaglio, la vita te lo fa conoscere e subito dopo, gli daresti anche un polmone, perché la sua non è bellezza, è proprio fascino e il fascino prende subito: basta essergli accanto il giusto, per essere sotto il suo incantesimo. Insomma, non penseresti mai di poter avere una relazione con tale esemplare e invece, una volta conosciuto, non torni più indietro. Il potere ammaliatore di Iceman sta nel fatto che se anche tu ti sputtani, ti dichiari, ti struggi, lui rimarrà comunque freddo, distaccato, taciturno e questo, invece di essere motivo di mandarlo a quel paese, è motivo di attaccamento ancora più morboso, perché vorresti capire che ha in testa, cosa pensa, che vita ha fatto e invece tutto quello che fa è stare in silenzio e agire. E come agisce lui non agisce nessuno: ti bacia al momento giusto, ti coccola al momento giusto e quelle rare volte che parla dice cose giuste. Le persone più ingenue si attaccherebbero come cozze ad un tipo del genere e invece bisogna star ben lontani da tale esemplare: lui non si scomporrà mai, non si scioglierà mai, rimarrà sempre integro e egoista, sempre muto e taciturno facendoti sentire un grammofono che funziona per sé stesso. Il problema con tale genere è che non vuole una relazione, vuole solo sfruttare le sue potenzialità magiche per collezionare vittime sacrificali in nome del suo ego e nonostante il sesso, le azioni e i gesti siano meravigliosamente perfetti, niente potrà scalfire quella copertura di ghiaccio che gli ricopre emozioni e sentimenti, necessari per una relazione degna di tale nome e fattura.

Firewoman è tutt'altro che mansueta: non fatevi ingannare dalla pelle candida, dal sorriso timido e dai modi gentili. Tutto quello che lei vuole fare è attirarvi nelle sue spire e farvi sprofondare come tutti i vostri predecessori. In apparenza è una giovane ragazza definibile come "normale": non fa parte della schiera della simil-prostituta e neanche delle carmelitane scalze. Lei è una come tante, ma colleziona uomini come io collezionavo le figurine dei Pokemon. Come nel caso precedente, anche lei si conosce per caso, non per intenti ben precisi: non è bella, ha un'aura che cattura.L'inizio del pasticcio è quando viene abbordata dallo sfortunato esemplare di maschio scemo. Scemo perché in pochi secondi diventa subito suo schiavo: lei in un primo momento lo respinge, poi finge interesse e dando una vana opportunità al tipo, lui fa di tutto per tenersela stretta. Insomma questa dopo aver imbambolato la preda, combina momenti di affetto e momenti di noncuranza facendo emergere nell'uomo da lei ammaliato, sensi di colpa, complessi di inferiorità e sindromi da prestazione che lo fanno rimanere a servizio della Firewoman. La serata volge al termine e lei fa la sua prima mossa: lo bacia in modo tenero, dolce che fa percepire che da parte sua qualche sentimento sia scattato. E invece no, perché mentre il maschio scemo tenta di capire cosa stia succedendo, lei è già fuggita e da quel momento scomparirà facendo venire nella testa del maschio, dubbi, pensieri e preoccupazioni e se per caso si ritroveranno, lei sarà fredda come se non si fossero mai incontrati mentre la sua vittima inizierà il processo di guarigione da quella scottatura ancora cocente.

Ora li conoscete, sapete quali sono i segnali: se ne percepite solo una minima essenza, giratevi e scappate!





                                                                                                                                                                 

domenica 18 ottobre 2015

Fondazione Prada: interpretazioni sulla Torre d'oro

Si dice che il bello dell'arte sta nel fatto che generi discussione e l'arte contemporanea non può che fare questo effetto: porsi interrogativi, avere sguardi confusi e cercare risposte sono gli atteggiamenti più tipici di chi si imbatte in una mostra di arte contemporanea.

La Fondazione Prada ospita opere e installazioni davvero coinvolgenti ed espressive, arte per molti versi difficile da comprendere ma che vuole raccontare una storia che merita di essere declamata. Ma il bello di questo tipo di arte è che la storia in questione deve rimanere segreta, oppure sarebbe stata scritta su un testo e venduta in libreria. Queste storie sono il riflesso di un'interiorità che razionalmente non vuole uscire allo scoperto, ma che ha comunque bisogno di essere espressa. L'arte si è evoluta a tal punto che non vuole neanche che le sue informazioni vengano esplicitate su targhette di fredda plastica attaccate al muro: se vuoi sapere la storia di un pezzo devi prendere coraggio e chiedere allo staff e in quest'epoca di presunzione in pochi hanno tale coraggio.

Ad ogni modo, per quanto abbia visto meraviglie in quelle sale, c'è stato un posto che più di tutti ha sconvolto e saziato le mie curiosità. Parlo della Torre d'oro e delle installazioni di Robert Gobler e di Louise Bourgeois. Di entrambi conosco poco ma mi sono informato e hanno davvero qualcosa da dire quest'uomo.
Prima di tutto fanno dipingere d'oro un'ex cisterna degli anni '10 e da edifico fatiscente diventa una Torre incantata. Poi decidono l'orario di visita: le loro opere possono essere viste solo in alcuni orari. Infine per accedere ad ogni stanza della torre, bisogna utilizzare le scale: l'ascensore c'è, ma ha bisogno di una chiave per essere utilizzato, chiave non concessa a nessuno. Così si inizia la scalata e passo dopo passo si arriva alle varie opere: le prime riguardano l'infanzia e più si sale e più ci si trova verso l'età adulta, quella in cui l'anima ha qualcosa da dire ma si perde nella routine, quando le urla muoiono in gola per non uscire fuori dall'etichetta che ci siamo costruiti.
E infatti, a mio parere, sono i piani alti quelli più interessanti. Al quarto piano ci si trova in una stanza buia e si ammira l'opera della Bourgeois "Cell(Clothes)" del 1996. L'opera è composta da una serie di porte messe in un cerchio non chiuso per la mancanza di un'unica porta che rivela l'interno della stanza creata da questa struttura. Le porte sono di diversa fattura, colore, annata e salute. Da alcune è possibile vedere ciò che c'è dentro per mezzo di fori, vetri rotti o finestre, in altre no, ci è impossibile vedere l'interno. Ma guardando dalla porta mancante è possibile vedere una serie di oggetti di svariato tipo messi in posizioni più o meno inquietanti e accoppiati senza un evidente senso. Ma il senso c'è. Quello è il cuore della Bourgeois, un cuore custodito gelosamente e da cui nessuno potrà entrare. Si può solo sbirciare all'interno, solo catturare qualche dettaglio ma dipende tutto dalla posizione in cui ci si trova. Conosciuto questo dettaglio, tutti gli oggetti in un primo momento irrilevanti prendono vita: lo specchio da bagno rotto, le vesti sgualcite, le luci soffuse. In pochi metri ha inserito tutta la sua vita.
Infine al quinto piano c'è l'opera di Gobler "Untitled" del 2014. L'opera non è visibile sin dall'inizio perché si guarda dalla parte sbagliata: l'opera non è di fronte a noi, ma sotto di noi. In un tombino scorre dell'acqua che scivola tra sassi, foglie e teschi e lì, in quel tombino, tra quell'acqua e quella natura, c'è un rosso cuore pulsante che si illumina. Quello è invece il cuore di Gobler, nascosto in cima alla torre, inaccessibile ai più, difficile da vedere, da capire e da percepire. Qui il cuore è visibile, non bisogna immaginarlo. Tuttavia la sensazione avuta nella stanza della Bourgeois è la stessa: in un solo piccolo spazio c'è lì la sua vita, in balia della natura che potrebbe da un momento all'altro sciacquarlo via, spazzarlo con la corrente e frantumarlo tra rocce taglienti e pezzi di ossa sporgenti. La natura creatrice, la natura distruttrice.

Ecco, queste mie riflessioni sulla Fondazione Prada e sulla Torre d'oro sono per esprimere il mio entusiasmo su questa esperienza fuori dai canoni ordinari e un invito, per chi è a Milano, di spendere del tempo in questo luogo meraviglioso. 

martedì 13 ottobre 2015

La mia Expo: meraviglie e una nota amara

Expo è il tema caldo del 2015: non c'è Miss Italia che tenga, Lisa Fusco o Ignazio Marino.
Se si pensa all'Italia nel 2015 si pensa assolutamente ad Expo e nonostante io non volessi andare per mie motivazioni sull'etica del lavoro, ho avuto la bella opportunità di andarci e vedere cosa è realmente Expo.

Expo ti meraviglia già al primo step, il Padiglione Zero. Monumentale, ben costruito e istruttivo come pochi. Si è parlato di obesità, di fame nel mondo, di spreco di cibo, di mal nutrizione, di catastrofi naturali e dello sbagliato consumo degli alimenti. In questo Expo eccelle: esci da un padiglione e una piccola analisi di coscienza te la fai, guardi i dati sulla fame del mondo e ti rendi conto di quanto tu sia fortunato a essere nato nel lato giusto della Terra e infine guardi la montagna di rifiuti di cibo sprecati ogni giorno e il pensiero a quando hai fatto scadere lo yogurt ti torna in mente.
Expo è stata costruita da artisti perché esteticamente è tutto molto bello: le luci, i colori, le idee creative per poter dare una forma e un'impronta stilistica ad ogni Padiglione hanno dello straordinario.
E poi Expo è istruttiva solo per il semplice fatto che in quei metri quadri c'erano  persone provenienti da tutto il mondo, persone disposte a parlare, a condividere, a raccontarsi.

La pecca di Expo è che non è riuscita a gestire un numero tanto grande di persone, la grazia artistica compensa il disagio organizzativo. Non è solo il gran numero di persone che provoca disagio, è anche l'assenza di luoghi di ristoro pubblici, di assistenza alle persone anziane e di assenza di personale che possa dare informazioni a questa massa di persone che è lì, nella confusione più grande, presa dalla vista di così tante attrazioni ma senza riuscire a gestire un itinerario perché una volta entrato sei abbandonato a te stesso.

Certo, è un evento di dimensioni enormi, di un'importanza enorme e che regala valore all'educazione, un'esperienza di certo da fare, ma che perde, a mio parere, di credibilità nel momento in cui l'assistenza alle persone è pari a zero. Io sono fortunato perché ho forza e giovinezza dalla mia parte ma penso invece a tutte quelle persone anziane lasciate a loro stesse, senza un minimo di aiuto da parte dello staff Expo.

C'è una frase del Padiglione Irlanda che mi ha fatto riflettere e dice che "La Terra non è nostra, è in prestito per renderla migliore per i nostri figli. La Terra non sarà loro perché dovranno curarla per chi dovrà venire."
Ecco, non dimentichiamoci di chi l'ha curata per noi!

lunedì 12 ottobre 2015

La sindrome del lunedì

Il lunedì è un dramma per tutti. 
Sin dalla Genesi è stato il giorno più odiato dal Creatore stesso: il primo giorno ha separato la luce dal buio. Comparato a ciò che ha fatto dopo, praticamente non ha fatto poi molto. E lui è il Creatore, noi poveri mortali invece non dobbiamo solo accendere una luce, per noi il lunedì è l'inferno.

Ma tutto inizia dalla domenica. La domenica sera, mentre sei lì a ridere e scherzare con gli amici, a godere delle coccole del partner, delle lacrime di "C'è posta per te", arriva il momento in cui l'occhio cade sull'orologio e da lì inizia il tormento. Comprendi che è tardi, che se non vai a dormire presto domani neanche con una canzone di Cristina d'Avena riuscirai a svegliarti, ma per spirito di contraddizione a dormire non ci vai: è domenica e la domenica ci si riposa.

Arriva la mezzanotte e inizia la paura del domani: si punta la sveglia mandando a quel paese chi ha inventato un oggetto così tremendo e poi scatta il nervosismo che ti fa mandare a quel paese anche il povero disgraziato che ti dorme accanto, se ti dorme accanto qualcuno. 

Ti addormenti, alle volte anche con una piccola lacrima che sgorga dagli occhi, gli stessi occhi che due ore prima avevano già visto quanto dannatamente era tardi. Ti maledici.

La sveglia suona e non importa se tu abbia impostato la tua canzone preferita: la sveglia suona e quella canzone diverrà la canzone più orrenda che tu abbia mai ascoltato. Così ti svegli, rincoglionito, annaspi per trovare le pantofole che di notte avanzano lentamente e disgraziatamente sotto il letto. Imprechi. Ti rotoli verso il bagno e metti la faccia direttamente nel lavandino, accendi l'acqua e ti fai scorrere addosso la portata d'acqua delle cascate del Niagara. Poi una doccia veloce, perché quella rilassante da film in cui hai anche tempo per avere un orgasmo è pura finzione e mentre sei lì che grondi acqua e hai creato un piccolo parco acquatico nel bagno senti il bisogno primario di ogni essere definibile umano: il caffè. Così allagando il resto dell'appartamento prepari la caffettiera, imprechi nuovamente per non averla lavata la sera prima e la metti sul fuoco. 

Ora è il caos: hai 3 minuti di tempo mentre il caffè esce per asciugarti i capelli, mettere il deodorante, asciugare la Venezia materializzata nel bagno. Come sempre questo non accadrà mai: il caffè esce e non contento, guizza fuori inondando il piano cottura. Se nel bagno c'era Venezia, in cucina hai il luogo del delitto di Pomeriggio5. Spegni il caffè, lo zuccheri, lo macchi, lo bevi, lo ingoi e sei magicamente in ritardo. 

In ritardo per qualsiasi cosa: lezione, lavoro, appuntamenti dal medico, colloquio di lavoro e provino per il Grande Fratello. Perennemente in ritardo. Così ti vesti, prendendo qualcosa di strano dall'armadio, sperando che sia, non dico decente, ma almeno coordinato. E poi c'è la prova balcone, la temutissima prova balcone, momento importantissimo prima dell'avanzare verso l'uscio. Momento in cui capisci che la vita è ingannevole e per essere sicuro di ciò che hai indossato apri l'app del meteo ed è lì che capisci che hai fatto una cazzata e nello zaino, valigetta, borsa o marsupio dovrai portarti un cambio, qualcosa da indossare al volo senza che nessuno se ne accorga, quando ci sarà il picco dei 33 gradi mentre alle 8 del mattino ce ne sono 10 gradi scarsi. 

E dopo aver riempito il baule che ti trascinerai dietro per bus, tram, metro e ascensori, allora sei pronto. In quel momento potrai uscire. Ed esci, chiudi tutto. Sei fuori.
E poi ti giri e apri tutto perché ti sei dimenticato le cuffie, gli occhiali, l'agenda e pure una banana salva vita in un momento di fame tossica.
Ed esci. Chiudi tutto. Sei fuori. E ad ogni scalino, imprechi.

sabato 10 ottobre 2015

Da O a KO, dal top al flop: la giornata contro i disagi interiori

Buongiorno, buon sabato, buon finesettimana e buona giornata contro i disagi interiori.
Non so se qualcuno ricorda un mio vecchio articolo chiamato "Generazione K". Un articolo da alcuni considerato molto duro, da altri molto divertente e invece il resto del mondo l'ha ignorato.
Ecco, fortunatamente i miei studi sono per me di grande ispirazione e dunque ho potuto sviscerare ancora di più l'argomento. In aggiunta, proprio per la giornata contro i disagi mentali, ho voluto analizzare la situazione dei giovani a me coetanei che hanno problematiche legate all'autostima, problematiche che si traducono in comportamenti, a mio parere, devianti.
Deviante è quel comportamento diverso dall'accettazione comune ma non diverso per indole, diverso come sfogo di un problema interno, non riconosciuto ma visibile.
Nelle bacheche di Facebook,  si possono interpretare vari aspetti del comportamento umano e per chi studia l'argomento e ne è un appassionato si possono trovare alcuni profili molto interessanti dal punto di vista del cambiamento deviante.
Durante alcune riflessioni ho constatato che nelle giovani età ci si rapporta sempre con normali problemi di autostima che provocano un'evoluzione dei soggetti che partono da una dimensione O, percorrono la dimensione K e finiscono nel baratro da me definito KO.
Non è una scelta casuale: KO perché davvero è la fine di una reputazione entro i limiti della decenza.
Ma analizziamo i vari profili:

  • Profilo O: nasce, cresce, crea. O come Originale, diverso, meravigliosamente non attaccato alle convenzioni sociali. Unico nel suo genere. Il profilo O è il profilo del ragazzo e della ragazza che tu ami per la sua diversità che rende questa persona di inestimabile valore perché, nonostante i difetti personali, si può costruire un'amicizia, un sentimento, un rapporto profondo. Solitamente i membri del profilo O sono giovani, molto giovani, un passo dopo la maturità giuridica e dunque, come tutti i giovani, sono insicuri ma lo dimostrano in modo sano, senza uscire fuori dal seminato, rimanendo comunque il ragazzo e la ragazza che tutti amiamo.
  • Profilo K: nascere, crescere, coglionare. K come "kazzofai?", tipica espressione della gioventù milanese usata per esprimere lo sconcerto rispetto ad un comportamento deviante di un'altra persona. I K sono gli amici perduti, quelli che sono cambiati, come tutti del resto, e sono sempre più andanti verso la follia da ansia sociale.
    Ci sono i K che prendono la loro vita e la danno alle ortiche per un fidanzamento molto simile a uno sposalizio.
    Ci sono i K che prendono la loro vita e la danno alle ortiche perché vogliono la fama e il successo, neanche fossero Hannah Montana. Anzi, sono come lei, perché per averlo si metterebbero nudi su una wrecking ball.
    Sono la versione cresciuta e rincoglionita del normale profilo O, sono quelli che invece di parlare dei loro problemi, affrontarli, viverli, accettarli, come è giusto che sia, stanno zitti e violentano le loro relazioni affettive profonde. Nella loro mente sono gli altri che si devono abituare alla loro nuova vita, perché non c'è confronto, non c'è un punto di cui si può discutere e se non ti sta bene vieni esiliato, diffamato, cancellato. La loro insicurezza, che è quella di tutti, si tranquillizza solo se sono nella loro sfera di comfort. In alternativa, se sono fuori da uno spazio in cui si sentono sicuri, succede il caos. 
  • Profilo KO: nasce, cresce con te, decade con gli altri. KO nel senso stretto della parola. Si, perché KO sono le persone che nonostante tu possa essergli amico, confidente, amante e prete loro scelgono la via della perdizione, ma non quella scema da serate alcoliche tra amici, da vita mondana a mo di Blair Waldorf o da Bad Boys. No, loro scelgono la via dell'apparenza: ogni loro stato social è gestito per far capire al mondo intero che la loro vita è meglio di quella degli altri, che il loro amore è più forte di quello degli altri, che i loro capelli sono seta perché loro valgono. La loro autostima è semplicemente regolata dal fatto che gli altri debbano pensare che nella loro vita sia tutto figo, tutto bello, tutto di plastica. Non ci sono debolezze, non ci sono realtà, tutto è magnifico. Peccato che poi a lungo andare si perda il senso di magnifico e si pubblicano stati di dubbia intelligenza e si fanno foto di dubbio gusto proprio perché il senso di irrealtà è ormai radicato, amplificato e senza un buon amico non se ne andrà. Insomma si passa dall'essere persone originali a pecore di un gregge senza meta.
Non c'è amico vero che non voglia vedere i propri amici realizzati, ecco perché quando ne vedi uno che butta all'aria anni di amicizia consolidata solo perché la sua insicurezza lo sta divorando, perché il futuro è ostico, cattivo e un enorme punto interrogativo, allora viene il dispiacere, perché nonostante si voglia aiutarlo, arrivato ad un certo punto comprendi che la sola persona che può è lui stesso e non c'è più nulla che si possa fare.

Oggi è la giornata mondiale contro i disagi interiori, se hai qualche problema, se hai qualche demone da affrontare, se hai una bestia dentro che non sai gestire, parlare con un amico: è il sistema più veloce, gratuito e migliore che tu possa utilizzare per avere un alleato nella lotta. Tutti soffrono per qualcosa, perché soffrire da soli quando puoi avere un esercito di amore e sostegno tutto per te?
Parla, esprimi, apriti e alle pecore preferisci l'identità che le pecore si disperdono al primo spavento, l'identità rimane.

martedì 6 ottobre 2015

Il compromesso di chi ha fame

La #MilanoFashionWeek è finita e la vita, a Milano, è tornata alla normalità.
Niente più abiti eccentrici per le strade.
Niente più fashion blogger di bassa lega.
Niente più aspiranti modelle e modelli che spingono davanti ai cancelli dove ci sono le sfilate.
Niente più.
E meno male!

Ora ci si prepara all'inverno: bisogna capire che posti frequentare, chi conoscere, cosa bere, dove mangiare. Perché Milano non è solo una città, Milano è una continua ricerca di possibilità e le possibilità si agguantano secondo i canoni della moda: unconventional.

E per le serate in cui non c'è nulla da fare? Quelle in cui non hai programmi?
Ecco, si ricominciano a divorare libri, film, telefilm, a comprare pacchi di Ciobar, a seguire reality show e a chiamare il servizio d'asporto. 
E poi torna il weekend, il business, la corsa.
E il tutto continua, settimana dopo settimana fino alla prossima week degna di nota.

Ed è in questo periodo di quiete che ci si può fermare un attimo e pensare ai massimi sistemi della vita. E visto che in questi mesi di trasloco e burocrazia non ho avuto molto tempo per pensare, seduto ora sul divano della nuova casa mi è balzato in mente un argomento che interessa tutti coloro che hanno dei sogni.
La parola del giorno è compromesso.

Che poi non è la parola del giorno, sembra essere quella della vita dopo la maggiore età. Prima del grande passo verso la responsabilità civile si vive di puro istinto, di azione, quella pura, quella senza conseguenze ponderate. Poi tutto diventa più serio, più adulto, più responsabile e ci si deve ricordare, di tanto in tanto, che la vita va colta con ironia, autoironia, leggerezza, spensieratezza o il carico delle cose da fare, da realizzare, da sfruttare, appesantisce il tutto e non si riesce più a trovare il tempo per guardare le cose per il verso giusto. 

Si, superata una certa soglia, conquistati certi obiettivi e posti altri che necessitano di ancora più intraprendenza e spirito di adattamento, il compromesso sembra essere il nuovo ossigeno. C'è chi accetta i compromessi sul lavoro, sullo stile di vita, sul sesso lasciando però qualche piccola perla ancora per sé, qualche diritto di non accettazione del compromesso. E c'è chi invece vive di compromesso, si mette in gabbia da solo e spera solo che vada tutto bene. Ma non voglio parlare di loro, degli ignavi, voglio parlare degli altri, quelli che li riconosci dalla luce che hanno negli occhi.

Sono loro il nuovo modello che tutti i giovani a me coetanei dovrebbero seguire. Sono quelli che si svegliano al mattino con tanta voglia di fare, di dire, di conoscere. Il tutto alimentato da una sana dose di spirito, fame, voglia di prendere il presente e rivoluzionarlo, di creare un futuro che sia migliore non solo per sé stessi ma anche per chi è a loro fianco, fisicamente e virtualmente. Sono quelli che scendono a compromessi sulle cose poco importanti ma che sulle relazioni hanno deciso che o va come dicono loro oppure la porta è sempre aperta per chi non vuole vivere di emozioni vere. Sono i coraggiosi, quelli che si buttano a capofitto su un progetto, su una relazione, su un sentimento e non se ne vanno finché non si fanno dannatamente male perché sanno benissimo che come si sono alzati in precedenza, si alzeranno anche questa volta e altre cento ancora.

Il compromesso sembra essere l'ossigeno per chi ha fatto scelte importanti nella vita, riuscire a gestirlo, dosarlo e infine accettarlo è di vitale importanza se si vuole arrivare da qualche parte ma quando si parla di emozioni no, in quel caso il compromesso è da escludere perché è solo seguendo la propria natura che si può cedere alla felicità.

giovedì 1 ottobre 2015

Ottobre è arrivato e niente più sarà come prima.

Ottobre è arrivato e niente più sarà più come prima.
Scordatevi il caldo asfissiante, le magliette corte, il lino e i cocktail in spiaggia.
Dimenticate le piscine, le storie estive e l'odore di salsedine sulla pelle.
Mettete a posto ogni tipo di abbronzante, di costume e di occhiali colorati.

L'Autunno è arrivato e con l'inizio di Ottobre tutto è così dannatamente ufficiale.
Il cambio di stagione è iniziato e deve finire presto perché la pioggia inizia a essere una compagna fedele del mese.
I weekend cambiano: niente più discoteche all'aria aperta, party sulla spiaggia e case estive in affitto.
Ora c'è il cinema, il bowling, le serate nei pub e le più tragiche serate sui libri per preparare un esame.

Tutto molto deprimente, lo so.

Ma l'Autunno non è solo questo.
In Autunno ripartono i progetti, le speranze e i sogni di un nuovo semestre lavorativo più proficuo di quello precedente. La creatività esplode e le Fashion Week che si tengono in ogni capitale della moda ne sono la prova. Si aprono le stagioni teatrali, i musei, le collezioni e si leggono più libri. Si accende il camino e la famiglia si riunisce a raccontarsi proprio lì, su quel marmo che fa da richiamo. E poi in Autunno sboccia l'amore, quello delle notti sotto le pesanti coperte, quello dei corpi che si riscaldano l'un l'altro, quello del bacio sotto la pioggia.
Si, l'Estate è ufficialmente finita ma l'Autunno, per quanto possa essere più pesante da sopportare, porta con sé tante novità e occasioni.
Pensate solo alle tavole imbandite, alle cene di famiglia, ai giochi, all'attesa spasmodica delle nuove feste. Perché se l'Estate è la stagione della giovinezza, l'Autunno è quello della famiglia.
Ad Ottobre inizia il freddo, e gli esseri umani trovano rimedio ad esso nelle persone che amano e se sono da loro lontani, sono di certo più aperti all'amore.

giovedì 10 settembre 2015

Studenti fuori sede, Johnny Depp e Pechino Express

“Buongiorno, sono Carlo Occhinegro, la contatto in riferimento all’annuncio di affitto che ho trovato sul sito…”
Dico questa frase con tono dolce e rassicurante circa 8 volte al giorno da 10 giorni. Una routine così malata da far accapponare la pelle anche ai ragazzi dei call center.
Si, sono tornato a Milano, città della moda, del ristorante delle Rodriguez e città adottiva, così adottiva che sto cercando un appartamento da 10 giorni e ancora sono accampato da amici e giustamente al mio arrivo solo vento, gelo e tempesta.

Ma siamo fiduciosi: presto qualcuno con un minimo di etica e con una ferita sentimentale ancora aperta, dopo aver sentito la mia storia, mi darà un affitto bloccato con riscaldamento centralizzato, internet e un quartiere dove non mi possa imbattere in cruising notturno.

Ma la vita da fuori sede, di base, è divertente. Al momento sono ospite di amici ed è tutto molto divertente, anche nei momenti più disperati. E nella mia condivisione di internet non ho potuto non seguire i grandi fatti di cronaca che attanagliano il paese. La cosa che più mi ha sconcertato riguarda il Johnny di fama mondiale che si dice che si sia presentato ad un evento d’alta fama con chili in più, denti in meno e l’abbigliamento del nonno di Heidi.

No, non è caduto un mito: quando tra un mese vedremo le sue foto, quando tornerà uno dei 50enni più fighi di sempre, penseremo solo che abbiamo fatto schifo a malignare di lui in questo momento di artisticità non troppo estetica. Poi è il testimonial di Dior al momento. Non è che la direzione marketing e pubblicitaria di Dior sia diventata scema da un momento all’altro e infatti: 



Ma parliamo di cose importanti: è iniziato Pechino Express.

Pechino Express non è un reality show, è il reality show dei sognatori, di quelli che hanno obiettivi, che vogliono arrivare, che sanno che le difficoltà ci sono e le affrontano a cuore aperto. Pechino Express è la versione reality della mente di uno studente che abbia almeno un minimo di fame, di aspirazione e di voglia di avere successo, ma non quello televisivo come potreste banalmente pensare, ma quello propriamente personale. E infatti, per coerenza, le coppie che più amo di questa edizione sono gli Antipodi e gli Artisti.

Andrea Pinna: chi è? Nessuno. O meglio, non lo si conosce con questo nome ma con il nome del brand che ha fondato “LePerlediPinna”. Un giovane studente che ha semplicemente espresso la sua personalità con delle quotes dal gusto irriverente e altamente acido che hanno avuto successo sia perché realistiche e sia perché sono riutilizzabili in quei momenti in cui si è nel mezzo di una discussione e ti manca la frase a effetto.

Roberto Bertolini è un personal trainer. Ecco, ora vi chiedereste cosa c’entra lui con la mia riflessione sul paragone tra il reality e la dura vita di uno studente. C’entra e vi spiego perché: è un personal trainer, un ragazzo con un fisico ben costruito e se c’è una cosa che ho capito nei miei mesi trascorsi in palestra è che per avere un fisico del genere c’è bisogno di una forza di volontà e di un amor proprio simili alle grandi prove a cui vengono messi contro gli studenti.

Paola Barale è rimasta semplicemente la giovane donna degli anni 90’, non è cambiata molto. Nonostante sia passato il tempo è sempre in forma, sempre giovane nello spirito e nel corpo e nonostante una vita di duri sacrifici per la sua carriera, è l’esempio perfetto che il tempo passa, la giovinezza, se la si sa conservare, no.


Luca Tommasini, orgoglio italiano al pari della Cristoforetti e non perché ha ballato con Madonna ma perché se la Cristoforetti ha donato dati scientifici, Tommasini regala emozioni e le emozioni su un palco sono diverse da quelle che ti regala un libro o un cd: sul palco quello che accade in diretta non accadrà più, anche nella replica successiva. Sono quelle le emozioni più belle, quelle per un pubblico di pochi (anche se riempie sempre le arene come direttore artistico di X-factor) quelle che sono indimenticabili ma non riproponibili.

sabato 5 settembre 2015

Tempeste

Amo i temporali: sono ancora l'unica cosa che l'uomo non riesce a piegare a suo volere.
Pensateci. I quattro elementi sono stati piegati a volere umano: generiamo il fuoco da accendini che possiamo mettere in tasca, abbiamo sconvolto l'equilibrio delle foreste con disboscamenti paragonabili a stupri, si è trasformata l'acqua da necessità primaria a oggetto commerciale e infine il vento possiamo utilizzarlo per creare energia ma i temporali, che in qualche modo uniscono le potenzialità distruttive degli elementi, quelli possiamo anche prevederli ma non possiamo di certo controllarli.

Che poi è quello che succede nelle nostre vite ogni giorno. C'è quel mattino in cui la tempesta è acuta, ridondante, pesante e la sua potenza cambia il nostro umore, ci fa restare a letto chiedendoci quando passerà, quando tornerà il sole nelle nostre vite. "E chissà se mai tornerà" ci chiediamo senza dirlo a voce alta perché sappiamo che in alcuni periodi la tempesta decide di rimanere un po' più del previsto e non c'è meteorologo che possa assicurarci che andrà tutto bene, che la pioggia finirà di rovinarci l'umore.

Si, le tempeste sono un evento straordinario perché nonostante la distruzione che portano, un giorno, presto o tardi finiranno e in quel momento potremmo di nuovo riuscire a uscire dal nostro guscio tormentato, a credere che tutto possa cambiare e lo farà. Eccome se lo farà: dopo una tempesta le persone cambiano, non sono mai come erano prima della tempesta, ma questo è un fatto positivo. Chi lo sa se il nuovo noi saprà vivere con più serenità la tempesta che dovrà affrontare prossimamente.

Quello che è certo è che una nuova tempesta arriverà e che sconvolgerà di nuovo tutto il nostro mondo fatto di certezze davvero deboli. Ma sopravviveremo come facciamo sempre, perché anche nell'occhio del ciclone c'è la possibilità di uscirne più forti di come ci siamo entrati.

mercoledì 2 settembre 2015

Il Capodanno anticipato

3,2,1 Buon Anno!
No, non è proprio così, è solo arrivato Settembre, mese della caduta delle foglie, dell’inizio della scuola e del ritorno alla routine. Ma Settembre è molto simile agli ultimi giorni di Dicembre quando si pensa a ciò che si è fatto e ciò che si può fare per modificare ciò che proprio non ci piace delle nostre vite. In pratica se a Dicembre si scrive una lista di buoni propositi per l’anno nuovo di stampo procrastinabile, dato l’alto tasso glicemico dei dolcetti dell’Epifania, a Settembre si rimette tutto in discussione: agenda nuova, impegni nuovi, carattere nuovo, fisico nuovo e si giura di creare una routine sana del tipo sveglia alle 6 del mattino, footing, doccia, lavoro, pranzo, lavoro, pulizie, cena, sesso e notte tra le braccia del proprio amore.
Ecco, tutto questo potrebbe accadere, non è un sogno, potrebbe essere reale ma non è neanche poi così scontato che sia così. Infatti mi viene in mente la metafora della partoriente spiegata nel Deutero-Isaia in cui la partoriente è nel suo momento più problematico, il momento in cui sta per nascere suo figlio ed è lì a soffrire un dolore fisico e per uno mentale: "Cosa accadrà ora?" si chiede mentre il dolore è più acuto che mai.
E poi nel momento in cui tiene la sua creatura tra le mani tutto il dolore sparisce: lo ama già incondizionatamente e ne gode di questo amore che è lei stessa a provare.

Quello che voglio dire con questo paragone che tutti gli obiettivi possono essere raggiunti, che possiamo dare nuova vita a quella che in questo momento ci sembra morta, grigia e così noiosa rispetto a quella che vorremmo. Purtroppo l’unico modo per raggiungere ciò che vogliamo è lavorare sodo ma non possiamo cambiare tutto, non subito per lo meno.
Un consiglio? Provate a prendere foglio e scriverci sopra una lista di cose che nella vita volete cambiare.

(Provate a farlo prima di continuare la lettura!)








Dopo aver finito di scriverle bisogna cancellarle tutte ad esclusione della prima, quella che istintivamente il vostro sub-conscio vi ha suggerito che sia importante per voi. Ecco, concentratevi su ciò che vi è stato detto dalla parte che meno conosciamo di noi stessi, focalizzatevi su quell'obiettivo in cima alla vostra lista e trovate nuovi modi per poter raggiungerlo. Siate creativi! Considerate metodi e soluzioni che possano fare al caso vostro, anche cose strampalate e studiate come poter raggiungere la vostra meta: internet ha soluzioni per tutto, perché non usarlo per cose importanti come l'autostima e la realizzazione personale?

Ecco, in questo modo non solo troverete la vostra via per raggiungere un obiettivo ma vedrete che allo stesso tempo raggiungere gli altri sarà più semplice perché si sarà insinuata in voi una nuova bellissima e sanissima abitudine che vi renderà più semplice ogni tipo di cammino che state per percorrere.

“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” dice un famoso proverbio. Ed è proprio così. Fallirete come si fallisce ogni giorno quando si tenta di cambiare perché, come per la partoriente, il cambiamento è dolore ma se c’è una cosa di cui sono convinto è che il fallimento è una tappa obbligata del successo, dell’arrivo, del raggiungimento dell’obiettivo tanto bramato.

Provate con questo metodo e se fallite ritenetevi fortunati: siete sempre più vicini a scoprire la chiave del vostro successo. Il dolore passa, la gioia che avrete, anche se andrà via anche quella, resterà comunque nei ricordi a fare il tifo per voi nelle prossime sfide, per ricordarvi che se ci siete riusciti una volta, potrete riuscirci sempre.

martedì 25 agosto 2015

L'importanza di un "mi piace": il sesso, la droga, il rock&roll.

Il tasto "mi piace", quel problema paragonabile agli shorts inguinali maschili e all'uso ancora legalizzato delle ballerine. Perché il "mi piace" è un'arma di distruzione di massa e cosa ti puoi aspettare da uno studente americano che ha piegato il mondo con una piattaforma per "comunicare"?

Ad ogni modo, evitando il razzismo involontario, il "mi piace" sarà anche un'arma ma tutti ne vanno ghiotti e soprattutto se si rientra nella categoria:
1) Single
2) Giovane
3) Sole

Ma analizziamole con più sagacia.

Se sei single, non importa quanto tu sia indipendente, sei carne fresca pronta per essere divorata, se sei anche di bell'aspetto e con un fisico da pornostar, sei l'equivalente di un carboidrato per chi conduce una dieta low carbs. Se sei single alle volte le certezze vacillano, soprattutto se sei reduce da appuntamenti scadenti, da sesso scadente e da vacanze estive coronate dal "perché sei single" dei parenti tutti. L'autostima si abbassa, è inevitabile ma una foto o un post con molti "mi piace", per qualche disturbato motivo, migliora il morale. Sopratutto quando inizia il sesso su Facebook.
Si, amici e amiche di MondialCasa, c'è gente che fa sesso su Facebook e vi spiego come. Si inizia da un flirt selvaggio di "mi piace" tra le parti giuridiche: io metto "mi piace" a te, tu a me. E data la giusta quantità di apprezzamenti silenziosi, si inizia a commentare in modo invasivo e/o discreto allo stesso tempo. Una lotta di potere in cui non si sa chi ha più l'ormone in perizia psichiatrica tra i due.
Solitamente questo coito finisce con lo sguardo attirato da un esemplare che ci attira di più. Perché chi ama questi giochetti solitamente non c'ha le palle di organizzare un incontro non virtuale.

Se sei giovane hai le 3 I: ingenuo, incosciente, ignorante. Ovvero non conosci minimamente la questione dell'amor proprio e pubblichi stronzate varie elemosinando "mi piace" e utilizzando hashtag della serie "likeforlike". Si, perché i giovani adolescenti hanno tempo di fare queste cose, i giovani adulti no, sono già alle prese con ex da sorvegliare, feste a cui partecipare, chili da dover perdere sia per sfanculare l'ex, sia per partecipare alle feste senza sentirsi un derelitto al confino. Per i giovani ex bimbiminkia, ora InstagramGeneration avere "mi piace" è la nuova droga. Non si fuma, non si beve ma si cercano "mi piace", postando foto e pensieri così brutti che creano spavento ai libri di grammatica e ai fotografi professionisti.

Infine l'ultima categoria, quella che mi irrita di più al mondo, perché capisco che una donna o un uomo di mezz'età si sveglino un giorno e si accorgano di non aver realizzato nessuno dei loro sogni e giustamente si rincoglioniscono in pochi giorni, ma da un ventenne questa solitudine dei numeri primi non la sopporto. Le persone sole non solo realmente sole, sono solo a caccia di visibilità. Sono le veline del 2000 ribaltate a copie uguali di persone insignificanti e senza stile. Le persone di questo genere elemosinano "mi piace" nel modo più deprimente possibile: dandosi un'aria provocante e sexy nelle foto e divertente e intrigante nei post. Il problema sta che di provocano solo conati e che vorresti farli picchiare da tutto il cast di Zelig per quanto inutili appaiono i loro post. Sono quelli che postano solo cose divertenti, perché per il mondo loro sono persone che hanno una vita divertente, spensierata, alternativa. Se il venerdì sera si esce con gli amici, loro godranno nel costringere le loro amicizie a farsi foto da mignottoni e/o puttanieri ricchi con bottiglie da 1000 euro divise per 20 persone. Ma il venerdì sera che stanno a guardare "Mamma ho perso l'aereo" non lo postano, perché non catturerebbe "mi piace".

Ecco, cacciatori di "mi piace", esseri squisitamente deliziosi, utilizzate tutto il vostro corpo e la vostra mente per poter catturare quanti più "mi piace" possibile, così da diventare nuove Facebook star che di quante ce ne stanno non esiste uno che emerge sugli altri. Poi quando deciderete che l'approvazione degli altri non è poi così importante vedrete che questa patologia andrà via proprio come le fastidiose frasi simpatiche che scrivete per dar da mangiare al mostro della solitudine che vi divora le interiora.

martedì 4 agosto 2015

Quelli che hanno conosciuto l'amore

Accade spesso che superati i 20 anni si pensi al passato come ad un periodo glorioso, si guardi al futuro con incertezza e si riflette sul presente, su ciò che ci piace e su cosa non ci piace delle nostre vite. Succede di solito prima di andare a dormire, dopo una giornata quanto meno di routine, che i nostri pensieri sul cuscino diventano più vividi e i desideri affiorano.
Ma quanto meno abbiamo la giovinezza dalla nostra: tutto può ancora accadere. E questa è la frase che ci diciamo con speranza prima di andare a letto.
Purtroppo siamo invece degli inguaribili cinici quando pensiamo alle nostre relazioni sentimentali. Passati i 20 siamo preda di orribili cicatrici che hanno deturpato ciò che era puro, inviolato e candido. No, non parlo della verginità, parlo dell'amore. Quando si hanno 20 anni o poco più, l'amore ha incrociato le nostre vite e per i più sfortunati come è arrivato, così se ne è andato. Di certo è un qualcosa di naturale, di fisiologico ma fa pur sempre male.
Dopo i 20 anni cambiamo inevitabilmente: amici, luoghi, situazioni e credi. Si può affermare che sia inevitabile che le coppie nate al liceo possano trovare fine in modo molto semplice. Questo non le contrassegna come deboli o poco innamorate, ma semplicemente come due parti che hanno preso strade diverse. Ripeto: è naturale che funzioni così.

Ciò che invece terrorizza di più e non rincontrare più l'amore. Purtroppo dopo la prima storia inizia un processo incontrollato che porta al paragonare ogni nuova situazione con quella precedente, con il Primo Amore. Che sia crudele e ingiusto o meno, funziona così, nonostante nella nostra testa sappiamo che le relazioni non sono gestite dalla testa, ma dal cuore.

Così prima di andare a letto, ci ricordiamo che siamo giovani e che tutto può ancora accadere, ma quando si parla di amore il mantra ha ancora effettivamente potere?
No, e sapete perché? Perché siamo giovani ed è proprio la giovinezza a renderci insicuri e perché sappiamo che non siamo fatti per stare da soli ma neanche per buttarci nella prima relazione che ci capita. Quelli che hanno conosciuto l'amore non si accontentano di una storia di comodo sperando che il fulmine arrivi e che i sentimenti affiorino da un passato sopito. Quelli che hanno conosciuto l'amore vogliono le scosse, il temporale e il battito cardiaco percepibile: se nella morte quel battito si fermerà, vogliamo che sia nel momento in cui ci sentiamo più vivi che potremo sentirlo in modo più distinto che mai.

mercoledì 29 luglio 2015

(Dis)Equilibrio

Mi hanno chiesto di noi e non ho saputo rispondere.
Mi hanno chiesto di me e ho mentito.
Mi hanno chiesto di te e avrei potuto parlare per ore.

Inevitabilmente si cresce e si cercano sempre risposte alle numerose domande che si moltiplicano nella nostra testa. Solitamente ci si chiede cosa va bene e cosa no, cosa vorremmo cambiare e cosa vorremmo riavere e cosa siamo disposti a perdere perché qualcosa cambi. Siamo dunque tutti alla ricerca di un equilibrio che pur precario, è ciò che desideriamo prima di andare a letto.
Ma davvero ciò che desideriamo porta all'equilibrio? E questo equilibrio è davvero la chiave per la felicità?

Ecco perché l'equilibrio è un'illusione, è una caccia ad una creatura mitologica impartita da libri, film e canzonette estive. La vita non è che, invece, disequilibrio.
Pensateci:
la prima volta che siete stati innamorati eravate sicuri?
la prima volta che avete avuto un successo eravate in piena forma?
la prima volta che avete fatto l'amore eravate tranquilli?

No, le emozioni non sono che un gorgoglio vulcanico pronto a esplodere e nelle esplosioni non c'è equilibrio ma caos costante ed è di quel caos che si nutrono le emozioni umane.
Non c'è vita nella tranquillità, c'è vita nel vigore dell'instabilità e per quanto folle possa sembrare, ricordate le vostre prime volte, ricordate l'adrenalina, il sudore e la paura: ricorderete che è proprio da lì, dall'incertezza, che sono nati momenti che saremmo disposti a tutto pur di rivivere.

lunedì 27 luglio 2015

Lettera aperta ai "Quando pensi di fidanzarti?"

Cari parenti tutti e di tutti,
sono qui perché voglio parlarvi. Parlo a nome di tutti i nipoti single del globo: basta chiedere quando ci fidanziamo.
Noi lo sappiamo: voi ci amate e volete la nostra felicità. Ma chi ve lo dice che la nostra felicità è legarci a doppio nodo con qualcuno?
Perché non ci chiedete, invece, se siamo felici? Sicuramente vi risponderemo con una bugia ma non è quello l'importante.
Parenti tutti, chiedeteci se siamo innamorati, chiedeteci se siamo soddisfatti delle nostre vite e non se abbiamo qualcuno con cui condividerle perché non è quello l'importante. Chiedeteci se stiamo lavorando e se la salute è perfetta, perché il lavoro e la salute sono già due cardini importanti per una vita buona. Chiedeteci se abbiamo dei progetti perché chi non ha progetti, in sostanza, non vive e voi non volete che i vostri nipoti siano nullafacenti.
Davvero famigliari, basta chiederci se c'è una donna o un uomo a cui siamo legati perché non è importante né a 20, né a 30 e né a 40 anni.

Capiteci, siamo nell'era della comunicazione tecnologica, non di quella relazionale. Le relazioni ormai sono problematiche più di quanto lo fossero ai vostri tempi. Voi non avevate telefoni o mezzi di distrazione mentre noi invece siamo contaminati da comunicazione passiva e confusa. Invece di chiederci se abbiamo qualcuno, parlateci di come vi siete innamorati del nonno o della nonna, ispirateci, dateci conforto, perché se siamo single è anche perché in questo periodo la solitudine è il motore delle relazioni. Si, cari avi, i miei coetanei decidono di avere una relazione per riempire un vuoto e sono sicuro che voi non volete vederci accasati con una persona che non amiamo. Perché noi il vuoto decidiamo spontaneamente di non riempirlo, perché cerchiamo l'amore, non una relazione.

Dunque cari futuri antenati, non chiedeteci se siamo congiunti ad un altro corpo, ma se la nostra anima sta bene. Chiedeteci se siamo innamorati, perché forse, in quel momento, lo domanderemo anche noi a noi stessi e forse troveremo la risposta illuminante.

Vi vogliamo bene.

mercoledì 22 luglio 2015

LinkedIn: il social network dei professionisti

I social network sono principalmente dei canali di comunicazione tra conoscenti e amici. O almeno, quella era l'idea iniziale da cui sono nati. Eppure tramite i social network si può fare molto per trovare un lavoro: LavoriAmo non è infatti un gruppo di Facebook?

Ecco, i social network possono essere uno strumento utile per trovare lavoro e per creare un personal branding capace e utile alle nostre necessità.

Oggi volevo parlarvi di LinkedIn, il social network dei professionisti.
In pochi lo usano in Italia ma all'estero è un must per chi vuole creare una carriera perché su LinkedIn ci sono tutte le aziende e i luoghi di lavoro, sia quelli noti che quelli meno noti, e anche i dipendenti di esse. In questo modo ognuno può, tramite delle opzioni date dal sito, scrivere il proprio curriculum vitae in un modo ancora più funzionale del solito metodo cartaceo.

Perché può aiutare a trovare lavoro?
Perché tra i dipendenti di un'azienda ci sono anche i reclutatori e saranno proprio loro a cercare chi assumere a seconda delle proprie esigenze aziendali.

E poi con LinkedIn si può creare una rete di colleghi ed ex colleghi che possono testimoniare tramite i loro commenti, l'esperienza che hanno avuto nel lavorare con altre persone migliorando così sia il personal branding che la notorietà nei confronti dei reclutatori.

L'ultimo consiglio che vi voglio dare prima di iscrivervi a LinkedIn è ricercare il materiale che può essere utile per completare il vostro profilo: ricerche, pubblicazioni e attestati, saranno la chiave per differenziarvi con il resto degli utenti!


martedì 21 luglio 2015

Voglio essere single, ma insieme a te, con dignità

Voglio che tu esca a bere una birra con gli amici. Voglio che, nel pieno dei postumi di una sbornia, tu non mi chiami chiedendomi di raggiungerti perché non sono una badante e non dirmi che vuoi stringermi tra le tue braccia, perché sei ubriaco, probabilmente vomiterai.
Voglio che, appena sveglio, parli con me di tutto quello che ti passa per la testa ma che ti senta libero di fare dei piani diversi per il resto della giornata, basta che non siano cazzate incoscienti perché sei vicino ai 30 e non mi sembra il caso di lasciare il lavoro per andare a vivere nella foresta. Io farò altrettanto.

Voglio che mi racconti delle tue serate con gli amici. Che tu mi dica di quella ragazza al bar che non smetteva di guardarti, che ti faccia una foto con lei, così dopo aver massacrato te, andrò da lei. Non voglio che mi scrivi quando sei ubriaco per dirmi cose senza senso, solo per assicurarti che anche io ti sto pensando, perché non ti sto pensando, sto dormendo.

Voglio ridere mentre facciamo l'amore, magari perché ci sentiamo goffi mentre sperimentiamo tra le lenzuola e non perché sei impedito. Voglio che, mentre siamo con i nostri amici, tu mi prenda per mano e mi porti in un'altra stanza perché non resisti più e vuoi fare l'amore con me proprio lì, in quel momento. Già ci vedo mentre cerchiamo di essere più silenziosi possibile per non farci sentire. Poi però non criticarmi se leggo "50 sfumature di grigio".

Voglio mangiare con te, voglio sentirmi libera di parlarti di me e che tu faccia lo stesso. Voglio immaginare l'appartamento dei nostri sogni, pur sapendo che forse non andremo mai a vivere insieme, perché molto probabilmente mi lascerai se parlo ancora di quell'appartamento. Voglio che tu mi racconti dei tuoi piani senza capo né coda. Voglio che tu mi sorprenda, che tu mi dica "Prendi il passaporto, partiamo!" e che tu paghi per me, perché studio e non ho un soldo.

Voglio aver paura insieme a te, però i ragni gli schiacci tu. Voglio fare cose che non farei con nessun altro, solo perché con te mi sento sicura. Voglio rientrare a casa ubriaca dopo una serata con gli amici e non voglio che tu mi prenda il viso tra le mani, mi baci e mi stringa forte, perché sono un'ubriacona: vomito anche io.

Voglio che tu abbia la tua vita, che decida su due piedi di partire per un viaggio e che tu lo faccia conscio che al tuo ritorno io sarò con un altro. Voglio che mi lasci qui, sola e annoiata, ad aspettare che appaia un tuo "ciao" su Facebook così da lasciarmi tu quando ti racconterò che per tutta la tua vacanza non ho fatto altro che stare su Facebook. Non voglio sempre partecipare alle tue serate fuori e non voglio sempre doverti invitare alle mie. Così potremo raccontarcele a vicenda il giorno dopo.

Voglio qualcosa che sia, allo stesso tempo, semplice... ma non troppo. Qualcosa che mi metta in testa mille domande ma che mi consenta di conoscere la risposta appena sono vicina a te. Voglio che pensi che io sia bellissima, che tu sia orgoglioso di dirlo quando siamo insieme. Voglio sentirti dire che mi ami, proprio come farò io con te. Voglio che mi lasci camminare davanti a te così puoi goderti la vista del mio sedere, sapendo che è l'unico che puoi fissare.

Voglio fare dei piani, anche se non sappiamo se li realizzeremo oppure no. Voglio essere tua amica, la persona con la quale ami uscire e divertirti. Voglio che non perda il desiderio di flirtare con altre donne, ma che torni da me sempre, quando la serata volge al termine, soprattutto quando hai voglia di essere picchiato, perché se torni da me e mi racconti una cosa del genere, posso solo che picchiarti. Perché forse io sarò andata a casa prima, senza di te e tu come uno stronzo non mi hai seguita. Voglio essere la persona con cui adori fare l'amore ed addormentarti subito dopo. La persona che si leva di torno mentre lavori e che adora osservarti quando ti perdi nella musica che ami. Voglio avere una vita da single, ma con te. Così la nostra vita di coppia potrà essere uguale a quella che abbiamo oggi, come single, ma vissuta insieme, sicuri che insieme non ci saremo per tanto tempo.

Un giorno ti troverò, con dignità.