Partire vuol dire cambiare aria, trovarne di altra che possa migliorare il tuo futuro. Ad ogni modo nella testa la voce della paura si domanda con voce alta "Se rimanere qui fosse la cosa migliore per te?". Perché in fondo ai giovani italiani chi glielo fa fare di prendere e smontare una stanza da letto per trasferirsi in un letto piccolo e cigolante con persone sconosciute? E chi lo ha detto che si sta facendo la cosa giusta e che sarà un'esperienza piacevole? Nessuno.
Quando si prende una decisione del genere si ha la sola certezza che di certezze ce ne saranno poche. Una di queste è sapere che in quel luogo chiamato casa, fatto da una famiglia amorevole, da strade percorse infinite volte e dai visi amici e dai ricordi duri come il marmo, un giorno potremo tornare e potremo prendere un po' del calore che stiamo lasciando sul nostro letto.
La mia generazione è fatta principalmente da due tipi di persone: quelle che vogliono stare al sicuro e quelli che vogliono stare al sicuro, dopo, nel futuro e che hanno capito che fare parte della fascia dei ventenni vuol dire avere ancora ossa e mente pronte per un trasloco dell'anima. Perché è facile tornare a casa ma elimina ogni tipo di difficoltà affrontata. Possiamo paragonarlo al non fumatore che smette per alcuni mesi e poi si fuma una sigaretta per riprovarne il sapore e quel sapore gli piace e allora ne comprerà un pacchetto fino a che la dipendenza l'avrà in pugno. Tutto possono dire di quelli come me, quelli che prendono e traslocano il muro delle foto, ma non che siamo dei dipendenti dai nostri affetti.
Gli affetti è possibile viverli senza alcun bisogno di esserne legati a filo corto. Ecco perché siamo una generazione di coraggiosi, perché nonostante il filo sia lungo centinaia di chilometri, possiamo apprezzarne il vero valore e più passano i giorni e più ci terremo stretti al filo con mano leggera, senza strette, senza strattoni, con il peso di chi ha preso la sua strada e non si dimentica delle altre.
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