venerdì 29 gennaio 2016

Lettera aperta a chi vive nei dolori del passato

Amici, amiche, fratelli e sorelle,
è ufficiale: ne ho le scatole piene di chi si fa condizionare dal proprio passato.
Il passato esiste, non si può cancellare, non c'è rimedio al fatto che noi siamo stati forgiati da esso. Non c'è educazione che tenga: noi siamo quello che ci è successo.
Chiarito questo punto ora voglio chiarirne un altro. Il passato esiste, c'è, è reale. E poi? Lo dobbiamo portare con noi come se fosse uno di quei mini-cani che vengono vestiti e portati dentro le borse? Vorrei capire per quale motivo ci si ostina a portare questo passato dietro e a usarlo come una scusa per tutto ciò che ci spaventa del presente:
"Sai, una volta.."
"Sai, io sono stato.."
"Sai, per un periodo della mia vita.."
Perfetto, va benissimo, tutti abbiamo un passato e molto spesso questo passato non è neanche dei migliori perché se lo tiriamo in ballo ogni volta vuol dire solamente che ci ha fatto male e che molto probabilmente stiamo ancora male. E sapete una cosa? Con una probabilità molto alta questo dolore ce lo porteremo dietro finché non arriveremo alla tomba.
Chiarito questo altro punto spiegatemi perché ancora questo fantomatico passato sta lì, come uno dei braccialetti dell'amicizia che indossiamo in età adolescenziale e che impediscono un'abbronzatura uniforme in estate.
Per quale motivo questo passato deve condizionare il presente, impedire di compierlo, di agire, facendo fare la parte dei frigidi, dei senza cuore e di quelli a cui importa poco di tutto e di tutti?
Voglio dire, Kris Kardashian ha superato il fatto che suo marito sia diventato trans a 65 anni, superate anche voi i vostri demoni del passato. Capisco che lo sguardo da persona dannata sia sexy e regala fascino, ma non siete né Sharon Stone in Catwoman né Russel Crowe ne Il gladiatore.
Siamo tutti marchiati a fuoco da passati turbolenti e da persone che inevitabilmente ci hanno cambiato e hanno cambiato la nostra vita, ma non è questa una scusa adatta per lasciarsi sconfiggere così da loro. E non immolatevi martiri pensando che il male lo avete avuto solo voi e che la vita vi odia: i mali fanno parte della vita ed è per questo che io diffido molto da chi si definisce felice, perché la felicità è un'utopia perché ci sarà sempre del male nel bene e viceversa, ci sarà sempre una macchia nel bianco che si vuole far vedere.
Ecco perché bisogna lasciarsi il passato alle spalle e combattere i problemi di oggi, ciò che accade ora, focalizzarsi sul momento e viverlo e pensare che se non lo si fa si rischia di cadere nel rimorso o nel rimpianto.
Dunque amici, amiche, fratelli, sorelle, siamo umani e come tale abbiamo un passato dietro che ci ha forgiato, ma lasciamo forgiarci da un presente che possiamo controllare, così da essere più forti nel domani che tanto spaventa.

lunedì 25 gennaio 2016

Tradizionale e non tradizionale: diritti e alieni

Montecchi e Capuleti, Guelfi e Ghibellini, Angeli e Demoni, famiglia tradizionale e famiglia non tradizionale.

La letteratura parla spesso di due fazioni che si sono contrastate e che nel loro farsi la guerra sono riusciti a trovare un punto di incontro, a fare delle differenze la forza. Certo sono tutte storie tristemente bagnate nel sangue e non povere di momenti di profonda inciviltà e di disperazione ma alla fine qualcosa di buono viene sempre a galla.

Qui si parla di un conflitto storico fatto di roghi, stregoneria e sottomissione: da una parte ci sono i fautori della famiglia tradizionale ovvero uomo, donna e figli (rigorosamente eterosessuali), dall'altra ci sono le famiglie non unite da questo schema rigido ma diverse in forma, struttura e diritti. Si, perché le famiglie tradizionali godono di tutti i diritti proposti dal codice civile mentre invece chi non si trova in questo status diventa un alieno al codice civile, non è proprio preso in considerazione e come tale viene emarginato.

Ecco, già a livello intuitivo, dopo la storia dell'ultimo secolo, sapere che ad alcune persone vengono dati dei diritti ed altre no, dovrebbe far venire in mente che forse molto giusto questo non sia. Però ci sono gli smemorati, gli ignoranti e quelli che l'unica storia che conoscono è quella della loro squadra di calcio, dunque ci ritroviamo poi nella condizione che un qualcosa che dovrebbe essere ovvio, risulta anche difficile da far comprendere.

Ad ogni modo le famiglie tradizionali, spaventate dal fatto che alcuni (non loro, la loro famiglia non è per nulla toccata nella questione) potrebbero volere una famiglia diversa dalla loro, si sono unite nel nome del Signore, e si sono organizzate per protestare, per dire no alle famiglie non composte da uomo, donna e figli (eterosessuali, lo ricordo). Nascono così le Sentinelle in Piedi, il Family Day e si ritorna velocemente alla donna in cucina a pulire in silenzio e all'uomo che torna dal lavoro dichiarandosi ancora il "Capo-famiglia".

Finché è il popolo a parlare, allora si sta tranquilli. Quando sono i politici a parlare allora no, allora ci si arrabbia, perché un popolo civilizzato merita equi diritti e se coloro che dovrebbero garantirteli rispondono che così facendo la gente chiederà di sposarsi col proprio cavallo, allora ci si arrabbia, e pure parecchio, perché tu politico non metti a confronto un cittadino da un cavallo. Se lo fai non meriti la poltrona.

E così è nato l'evento #Svegliatitalia per dire ai politici che dovrebbero governarci in modo giusto, che la famiglia tradizionale di fondo non esiste, perché la famiglia è un concetto molto più intimo di quello descritto dalla legge e dalla Chiesa, perché è famiglia non solo chi con te condivide il sangue, ma anche chi condivide le gioie, i dolori, i segreti e le verità ed è per questo che bisogna stare attenti a parlare di famiglia tradizionale, perché l'unica tradizione che dovrebbe seguire una famiglia è quella di amarsi.

Dunque cari partecipanti al Family Day, la vostra famiglia tradizionale non ve la toccherà nessuno; lasciate agli altri di vivere la vita che vogliono perché la cosa vi porta così tanto tedio solo perché l'ignoranza dilaga nelle vostre menti e nei vostri schemi mentali. E prima si capirà questo, che la famiglia tradizionale, per chi così la concepisce, rimarrà intatta, prima si potrà dare a chi non gode di questo schema, diritti veri e reali, riconosciuti dal codice civile che in assenza di tali leggi proprio civile non si potrebbe chiamare.

Si ponga ora fine al conflitto, si faccia passare il disegno di legge e si porti questo stato a un livello superiore chiamato civiltà.

mercoledì 20 gennaio 2016

Caso #Escile: grammatiche sbagliate e corpi nudi

#Escile è un hashtag davvero terribile: non solo per il suo significato, ma anche a livello grammaticale. Uscire è un verbo intransitivo a cui viene dato un valore transitivo totalmente a caso, senza una logica ben definita.
Però #Escile è diventato un caso mediatico riguardante gli atenei più antichi e prestigiosi di Milano: non parlarne sarebbe peccato!

Insomma da qualche giorno a Milano non si parla più solo della settimana della moda, ma di una nuova moda, se così è possibile chiamarla, cioè il caso #Escile. Inizia tutto per gioco e poi diventa una vera e propria sfida: le ragazze frequentanti le più famose università di Milano si fotografano il seno su cui hanno scritto, nei modi più stravaganti, che amano il proprio ateneo. Ecco dunque circolare foto delle sostenitrici della Cattolica con il loro "I love UniCatt", quelle della Bocconi con "I love Bocconi", quelle della Statale con "I love UniMi" e infine le rare ragazze del Politecnico con il loro "I love PoliMi".

Goliardico o di cattivo gusto? All'inizio non ne ero certo. Poi la cosa ha iniziato a non avere freno e ci ritroviamo sulle pagine "Spotted" delle università anche ragazzi che si sono scritti le loro tifoserie sulle natiche o sulla parte inferiore degli addominali.

La sfida sembra conclusa per il momento e si danno per vincitori le modelle e i modelli che hanno posato per l'Università Cattolica di Milano.

Ora, riflettiamo: è possibile far passare tutta questa sfida come un unico momento di goliardia da ansia da piena sessione di studi o è il caso di essere un po' più bacchettoni e fare discorsi sulla morale e simili?

Io onestamente credo che l'idea sia divertente, virale e che sia meglio una sfida del genere che sentir parlare sui giornali di professori che accettano mazzette o di studenti che inventano di sana pianta un percorso di studi per poi  sparire a pochi giorni dalla fantomatica laurea prevista e annunciata ai famigliari. D'altro canto però non ritengo propriamente corretta e di buon gusto la sfida nelle università. Posso senz'altro accettare una sfida simile per portare fortuna alla propria squadra di calcio o per far vedere quanto bene stia la nuova collezione Yamamay alle ragazze, ma nelle università dove si dovrebbe parlare di cultura e di professionalità, le balconate delle studentesse o gli addominali degli studenti mi sembrano un po' fuori luogo. Certo è che in un modo o in un altro le università di Milano al momento sono le più chiacchierate sia nei social che nei giornali e che non sia una tragedia rispetto ad altre notizie di cronaca, ma rimane comunque il fatto che l'università dovrebbe essere un luogo di informazione non un luogo di dimostrazione della propria fisicità.

Ecco perché sarebbe forse il caso che se proprio diventasse necessario fare un contest, l'argomento spazi in attività più alte, che non vuol dire essere pesanti o non sapersi divertire, vuol dire solamente conoscere dove si è e rispettare una tradizione di lungo corso.

venerdì 15 gennaio 2016

Corri, ragazzo! Corri: Milano non è fatta per te!

Non è passato molto tempo da quando una mattina, mentre io e i miei amici eravamo intenti a fare l'ennesima colazione armati di occhiali coprenti, sciarpe avvolgenti e cappotti che nascondevano abiti "comodi", si è parlato di un argomento spinoso: le fughe dalla "grande" Milano.

Insomma la questione è questa: abbiamo preso tutti la nostra vita, l'abbiamo impacchettata e ci siamo trasferiti nella città più controversa d'Italia. E non è controversa per argomenti come Mafia Capitale o le dimissioni a 5 stelle. No, Milano è controversa perché o la odi o la ami, non ci sono vie di mezzo. Tutti conosciamo "la grande bellezza" di Roma in opposizione ai suoi grandi problemi amministrativi, e lo stesso potremmo dire di Firenze, Bologna, Siena e di Napoli ma Milano non si lascia abbattere da chiacchiericci  oggettivi, Milano è pura soggettività ed è per questo forse che ospita due tipi di persone: i suoi amanti, le sue nemesi.

Come dicevo stavamo facendo colazione e ci siamo persi nel pettegolezzo: l'ennesimo caso di un conoscente che è rimasto impietrito di fronte al capoluogo lombardo e per questo dopo un numero considerevole di mesi di affitto pagati, ha ripreso tutto ed è tornato al suo focolare.
Ci chiedevamo: perché scappare? Cosa rende una città come Milano così minacciosa?

Dopo qualche giorno di riflessioni e analisi ulteriori sono arrivato ad alcune conclusioni:

1. Milano è oggettivamente cara. La guerra per avere un appartamento il cui costo mensile non richieda la vendita di un arto o di un organo è viva e al momento non credo sia possibile una resa o per lo meno un armistizio.
2. A Milano ci sono due tipi di persone: chi ha le possibilità, chi non le ha e se fai parte dell'ultima categoria, vi giuro che è difficile svegliarsi la mattina con il buon umore e continuare a essere positivi.
3. Si arriva a Milano con un progetto: se non ne hai uno, il tempo a disposizione qui è limitato e andarsene è la scelta più ovvia.
4. I milanesi non esistono ma è più difficile fare un amicizia con qualcuno del posto che riuscire a trovare un centesimo per terra. La freddezza di cui tutti parlano l'ho provata con mano ed è fastidiosa.
5. Milano è una città in cui se hai un sogno puoi realizzarlo, ma i sogni richiedono impegno, fatica e duro lavoro e se non si è disposti a lavorare per il proprio sogno, nessuno lo farà per te.

E allora per quale motivo noi rimaniamo, sopravviviamo ad un clima tanto ostile?

La risposta essenzialmente è che quando prendi il treno per Milano, pieno di bagagli contenenti la tua vita e le tue speranze, dopo aver combattuto per trovare un appartamento minuscolo, con un'infinità di problemi ma con un prezzo ragionevole e infine, dopo aver visto che nonostante tutto sei  sopravvissuto, solo allora si può amare Milano davvero e scoprire che è davvero una città che regala molte possibilità. E quando le possibilità non arrivano, allora è il momento di cambiare strategia, di non darsi per vinti, perché tutto ciò che ci rimane a quest'età non sono i ricordi della nostra vita passata ma la giovinezza di chi ha solo da guadagnare e nulla da perdere.

domenica 10 gennaio 2016

Prima di partire per un lungo viaggio, porta con te la voglia di non tornare più

Avevo compiuto 22 anni da poco, avevo in mano una laurea e tanti sogni.
Un'offerta di lavoro; destinazione Milano.
Ho fatto il mio primo biglietto "sola andata" e da lì è cambiato tutto.
Ho lasciato qui una famiglia, tre cani, tanti amici e soprattutto tanti ricordi.
Era il 5 giugno del 2014.

Oggi, dopo più di un anno da quel viaggio verso una vita nuova, sono di nuovo qui, sul treno che mi porterà all'inizio di un nuovo anno in una città che nonostante non sia affatto accogliente, mi ha dato tanta forza e tanto coraggio.
Mi sono perso, è vero, e ho fatto un errore grande: tentare di ritrovarmi. L'errore è questo: dal momento in cui le porte del treno si sono chiuse, ciò che ero si è smarrito e ciò che sarei diventato era pronto ad emergere. 9 mesi per capirlo, un tempo immenso. Ma come i serpenti, anche io per cambiare pelle ho avuto bisogno di un po' di tempo ma ora ho capito come si indossano  le pelli nuove e farò di tutto per portarla al meglio.

C'è però una cosa che mi rende ancora instabile realmente ed è la paura del futuro.
Cosa succederà?
Dove andrò?
Chi incontrerò?
E poi la certezza che certi cibi, certi sapori, certi baci e anche il sesso hanno un sapore molto diverso a soli 600 chilometri di distanza. Diverso: né migliore, né peggiore. Solamente diverso.

E se c'è una cosa che si fortifica ogni qualvolta che io decida di tornare, è la mia scelta: partire non poteva essere che un bene per me.

Un fischietto suona, qualche secondo e il treno partirà e i miei genitori stringerò forte per lasciarli tristemente ancora una volta sapendo di aver fatto torto loro e al me stesso del passato quando decisi di partire, perché nonostante le divergenze, la mia assenza si sente come io sento la loro. Ma ora le cose vanno meglio, ci siamo abituati e la speranza che tutto vada per il meglio fa da collante che poi è ciò che più amo delle partenze: i rapporti quelli veri, quelli sinceri, di qualunque forma e contorno, rimangono saldi anche quando è la distanza che tenta di rovinarli.

Dunque buon viaggio a me e a tutte le persone che amo: possiate cambiare pelle.

martedì 5 gennaio 2016

C'era una volta un paio di mutande e una trousse Kiko

Ieri la serata è stata produttiva da procurarmi abbastanza ispirazione per l'articolo di oggi. Eravamo in quattro, due ragazzi e due ragazze e come al solito si parlava dell'argomento ever green dei poco più che ventenni: le relazioni.

Ognuno ha le proprie esigenze, ognuno le sue fisse e ognuno è alla ricerca di qualcosa, ma dei punti in comune tra le nostre differenti menti ed esperienze c'erano: le relazioni si valutano quando la favola finisce e la realtà ti colpisce in faccia dura e violenta, come se fosse una sveglia dopo che ti sei fatto una notte in discoteca tra alcol e più momenti da dimenticare che da ricordare.

Le storie iniziano nei modi più diversi e poi si accendono in un fuoco fatuo che brucia facendo credere ai protagonisti che la loro storia andrà sempre così, che si ameranno sempre in quel modo e che tutti li prenderanno a modello, sospirando "Ah, come sono innamorati!". E saranno lì come due ebeti a pensare che sono fortunati, che hanno trovato la persona giusta. Se ne vanteranno con gli amici, ne parleranno persino ai loro genitori, perché è l'inizio e all'inizio è tutto bello: la favola dei Grimm versione 2016.

Si, l'inizio è più o meno così per tutti.
Poi arrivano le mutande e una trousse targata Kiko e il paradiso diventa l'inferno.

Quando l'uomo si sente così a suo agio da mettere le sue mutande nel portabiancheria della sua partner, in quel momento finisce tutto. L'uomo incivilis che c'è dentro di lui esce fuori e con lui tutti i difetti: birre appoggiate senza il sottobicchiere sul tavolo in legno, fastidiose serate con urlo di sottofondo a ogni gol della propria squadra o di quella avversaria, tedio nel voler uscire con gli amici di lei e scarso entusiasmo nel vedere una serie televisiva romantica che lei segue da anni e non si può perdere. E l'uomo incivilis lascia la tavoletta abbassata e si rade non curandosi troppo di dare una rassettata generale, perché l'uomo incivilis non se ne cura, non se ne è mai curato e finché non arriva qualcuna a farglielo notare, non se ne curerà mai.

E lo stesso accade quando lei porta la trousse nel bagno del suo partner, in quel momento scatta l'ossessiva maniaca che è in lei. Con l'inizio della trousse inizia il trasloco vero e proprio: spazzolino, dentifricio, piastra, fono, bigodini (che non servono, ma non si sa mai), diffusore, occorrente per manicure, pedicure e svariati tipi di lime per unghie e smalti, tanti, di tutte le sfumature dell'arcobaleno e lo stretto necessario per poter depilare un panda. Per non parlare dei vestiti, anche quelli fuori stagione, come un bikini a metà febbraio. In quell'attimo inizierà il suo momento da designer d'interni quando inizierà a giudicare ogni oggetto prezioso sistemato dal suo partner, come la collezione di pupazzi di Dragon Ball targati 1997. E poi si sentirà in dovere di essere brutta: vestirà con maglie extralarge, con un mollettone ai capelli e il trucco sfatto. E girerà così dentro casa, in quelle condizioni facendoti chiedere seriamente se quell'esemplare che hai di fronte sia la stessa persona che hai conosciuto al primo appuntamento.

Ecco, solo in quel momento inizia la relazione, quando la parte più disgustosa di entrambi prende il sopravvento. E se in quel momento allora il compromesso avrà la meglio sui conati di vomito emessi da entrambi, allora è amore. Solo allora è amore. Prima era favola e nelle favole non c'è amore ma pura confusione per le giovani menti, fumo ammaliatore.

Insomma, l'amore inizia da una mutanda e da una trousse di Kiko.