Ebenezer ha il privilegio di conoscere la sua fine, il suo futuro e di poter imparare dalle orribili immagini che ha visto così da trovare un rimedio, una cura, una soluzione al suo avvenire triste e solitario. Come sarebbe bello, non è vero? Sapere come andrà il nostro futuro, scegliere per il meglio con la sicurezza che andrà tutto bene. Perché è questo quello che ci spaventa maggiormente: non avere la certezza che davvero andrà tutto bene.
E allora lottiamo per la luce, alla ricerca di qualcosa di più, cerchiamo il più. Che cosa sarà mai il più, io non l'ho mai capito. Perché di base secondo me l'errore della ricerca è quello di pensare che la soluzione sia all'esterno e non all'interno. Se c'è qualcosa che ho imparato da questo 2015 è che la felicità di una persona si basa solamente sulla sua mente e sul suo essere risolto, integro e non frammentato, a pezzi, alla ricerca di un collante che sia personificato. Ed è proprio quello il dramma, cercare i rimedi alle nostre problematiche usando gli altri come stampelle, quando l'antidoto al veleno è dentro di noi e soprattutto il veleno lo creiamo noi.
Questo 2015 è stato abbastanza faticoso: mi sono perso e sto ancora cercando di ritrovarmi e nel frattempo alcune certezze si sono distrutte davanti ai miei occhi, mentre altre hanno preso forma, forza e struttura. Vivo sempre alla ricerca di me stesso, della parte migliore di me, tentando di lavorare su di me e su ciò che è palesemente migliorabile. E in questa ricerca smisurata ho portato avanti tanti progetti: un blog, una carriera universitaria e tante relazioni che la distanza solitamente tende a disintegrare. E sono queste le cose che mi permettono di andare avanti, di raccogliere le forze e rinascere con una nuova pelle, come le fenici.
Perché questo è quello che siamo, realtà che muoiono e rinascono continuamente, e questo è possibile solo utilizzando la volontà di redimersi, di chiedersi scusa, di perdonarsi e soprattutto di perdonare, perché credetemi anche le menti che credono di essere più pure hanno qualcosa per cui farsi perdonare.
Dunque il mio augurio è che possiate continuare la ricerca, cambiando però la prospettiva, gli occhi, l'obiettivo e soprattutto vivere ringraziando ed essendo ringraziati per quello che sono gli altri e per quello che siamo noi per loro. Necessario e urgente è ricordare le fortune che si hanno e usare la bocca per raccontarsi, il corpo per amarsi e il cuore per vivere nella leggerezza, perché ciò che abbrutisce il tutto è vivere con l'eterna pesantezza di chi si trascina dietro fin troppi bagagli.
Buon 2016, miei cari lettori.
p.s. Il gioco? Siate sinceri con chi amate. Dicono che porti dei benefici sensazionali!
giovedì 31 dicembre 2015
lunedì 21 dicembre 2015
Lo spirito del Natale presente: il secondo gioco di Comunicazione Ordinaria
Lo spirito del Natale Passato è servito ad Ebenezer Scrooge per ricordare ciò che è stato e che rimarrà nella sua memoria di bambino. Il tempo è passato e la vita di Ebenezer ha preso una strada diversa da quella che tutti si sarebbero aspettati da quel bambino, poi ragazzo, così altruista e amorevole nei confronti della sua famiglia e dei suoi amici. Infatti, l'uomo che andrà a incontrare lo spirito del Natale Presente non è che un avido personaggio, avaro e cattivo, amante del denaro e non delle persone a cui è legato. E lo spirito del Natale Presente, rappresentato dal noto Santa Claus o Babbo Natale, come si preferisce dirlo, arriva per ricordargli le fortune che lui ha, riferendosi non solo al denaro che potrebbe usare per fare beneficenza ma ai suoi affetti più cari che nonostante tutto hanno ancora la speranza che Ebenezer possa essere catturato dallo spirito del Natale.
Insomma, a chi non succede di comportarsi come il protagonista del racconto di Dickens? Quante volte abbiamo pensato che il Natale che stavamo per festeggiare non sarebbe stato importante o che non sarebbe andato secondo le nostre più rosee previsioni. E raramente si pensa invece a ciò che si ha, ma ci si focalizza solo su ciò che non si ha o peggio, che si è perso. Vedete, il Natale non è che la festa della famiglia, a mio parere. E se si ha una famiglia, di sangue o di scelta, c'è il Natale. Tutto il resto è fuffa, carta, scambio di poca importanza. Se c'è la famiglia si è già fortunati, e purtroppo non tutti la pensano così, perché in pochi si fermano ad apprezzare ciò che si ha e ciò che si è, sfruttando sempre più energie a cercare altro da noi e in noi.
Una meravigliosa scusa per essere infelici.
Una meravigliosa scusa per essere infelici.
Ora voglio fare un altro gioco, simile a quello proposto nello scorso articolo. Fermatevi un attimo, prendete tempo per voi e pensate a tre momenti precisi del Natale e rispondete:
- per cosa siete felici in questo Natale?
- per cosa siete grati in questo Natale?
- per cosa siete tristi in questo Natale?
E dopo aver risposto, chiedetevi se ciò che sentite è in linea con il sentimento del Natale, se provate felicità per un qualcosa di reale e non per l'effimero, se siete grati alle giuste persone, non a quelle di passaggio, e se siete tristi per un motivo che fa male al cuore, e non perché il mondo non gira come voi volete.
Comunicazione Ordinaria si congeda, sperando che i suoi lettori possano comprendere il senso del Natale, soprattutto in questi tempi in cui non c'è più una distinzione netta tra bene e male, ma tra il mio credo e il tuo, in cui si agisce senza pensare alle conseguenze, facendosi prendere dalle persone più che dal proprio pensiero.
Ora è il tempo in cui ci si deve mettere in discussione, in cui si deve riconsiderare tutto e apprezzare ciò che si ha e lavorare per far funzionare le cose che non vanno come vorremmo, per trovare il nostro io con la consapevolezza di essere fortunati, nonostante tutte le brutture che proviamo sulla nostra pelle, perché abbiamo una vita da vivere e dobbiamo farlo tentando di avere il sorriso e prenderlo da chi ci è vicino se dovesse scomparire.
Ora è il tempo in cui ci si deve mettere in discussione, in cui si deve riconsiderare tutto e apprezzare ciò che si ha e lavorare per far funzionare le cose che non vanno come vorremmo, per trovare il nostro io con la consapevolezza di essere fortunati, nonostante tutte le brutture che proviamo sulla nostra pelle, perché abbiamo una vita da vivere e dobbiamo farlo tentando di avere il sorriso e prenderlo da chi ci è vicino se dovesse scomparire.
domenica 13 dicembre 2015
Lo spirito del Natale passato: il primo gioco di Comunicazione Ordinaria
Charles Dickens ha scritto "Canto di Natale", la mia storia preferita sul Natale. Lo leggo ogni anno proprio in questo periodo ed è una tradizione che spero di non perdere mai, perché è un libro che ha molto da insegnare, molto da dire e ogni anno mi insegna qualcosa di nuovo, mi dice qualcosa che l'anno prima non avevo colto perché le pagine saranno sempre le stesse, ma io continuo a crescere.
Oggi volevo parlare di uno dei suoi personaggi, lo spirito del Natale Passato. Vedete, nel libro è un essere indefinito, senza sesso o età, un'entità tra l'umano e il sovrannaturale, il cui unico dettaglio certo è che alla cima del capo c'è una luminosa fiamma e che tiene sempre con sé un piccolo cappuccio. Il potere di questo Spirito è riuscire a far vedere al protagonista del racconto come festeggiava il Natale quando era piccolo ed Ebenizer Scrooge ricorda con gioia e nostalgia la sua vita passata. Quando torna al presente, una grande tristezza scende in lui, perché ciò che più gli manca non potrà averlo mai più: quello che è stato non può tornare e Scrooge lo sapeva bene. Ciò che infatti questo Spirito ha insegnato è che in Natale vissuto con gli occhi di un bambino è sempre amplificato e che più passa il tempo e più questo vedere e sentire il Natale diventa un banale osservare.
Voglio fare un gioco: prendete qualche minuto per voi e pensate a primi Natale che ricordate. Scavate nella vostra memoria e ricordate. Ora prendete tre aspetti di questi ricordi e confrontateli con la loro evoluzione, con quello che sono ora. Potreste così fare una valutazione e riuscire a migliorare il prossimo Natale, a renderlo più magico e se proprio il risultato non è dei migliori, avrete un incentivo in più a rendere questa festa ancora più bella.
Io intanto vi svelo i miei risultati:
I nonni
Da piccolo avevo due nonne, due nonni e una bisnonna, ora ne ho solo uno, nonno Gabriele e per quanto sia triste non vedere più mia nonna Nina fare la pasta a mano o mia nonna Maria preparare l'albero e abbellire la casa come solo lei sapeva fare, ho capito che lo loro essenza, nonostante la loro scomparsa, è rimasta e ad ogni Natale spunta sempre qualche storia su di loro e in qualche modo sembra come se fossero con noi, intorno alla nostra tavolata, che ridono con i nostri racconti.
L'ansia da regali
Sin dai miei primi ricordi sul Natale avevo l'ansia dei regali: dopo aver fatto la letterina a Babbo Natale vivevo nell'ansia che mi arrivasse il regalo sbagliato, che non ne arrivassero proprio o che da un momento all'altro mi venisse in mente un altro regalo in sostituzione a quello già chiesto. Ecco, ora è tutto tristemente deciso a tavolino e data la mia mania di controllo, da un certo punto di vista, è una situazione migliore.
Innocenza, incoscienza e fiducia
Del passato mi manca l'innocenza, l'incoscienza e la fiducia che sono tre attributi possibili solo per gli occhi di un bambino. Per me il Natale era il momento in cui tutto si poteva risolvere e tutto si poteva aggiustare. Non c'era litigio, problema o conflitto che non potesse essere messo a tacere grazie alla magia del Natale. Purtroppo ad oggi è sparita l'innocenza, l'incoscienza e soprattutto la fiducia, perché ho capito che ci sono dei problemi che non sono risolvibili con la sola fede e che fingere che nulla sia successo con il "Scambiatevi un gesto di pace" del prete, non aggiusti le cose, anzi le peggiori. Ho però imparato ad avere fiducia nelle parole, fiducia che da bambino non nutrivo assolutamente: credevo nelle feste comandate, ora credo alle azioni spontanee e da questo punto di vista posso dire che è stata una bella conquista.
Spero che questo gioco vi piaccia e che possiate condividerlo con tutte le persone che amate: sarà di buon augurio!
A presto con un nuovo gioco sul Natale!
Oggi volevo parlare di uno dei suoi personaggi, lo spirito del Natale Passato. Vedete, nel libro è un essere indefinito, senza sesso o età, un'entità tra l'umano e il sovrannaturale, il cui unico dettaglio certo è che alla cima del capo c'è una luminosa fiamma e che tiene sempre con sé un piccolo cappuccio. Il potere di questo Spirito è riuscire a far vedere al protagonista del racconto come festeggiava il Natale quando era piccolo ed Ebenizer Scrooge ricorda con gioia e nostalgia la sua vita passata. Quando torna al presente, una grande tristezza scende in lui, perché ciò che più gli manca non potrà averlo mai più: quello che è stato non può tornare e Scrooge lo sapeva bene. Ciò che infatti questo Spirito ha insegnato è che in Natale vissuto con gli occhi di un bambino è sempre amplificato e che più passa il tempo e più questo vedere e sentire il Natale diventa un banale osservare.
Voglio fare un gioco: prendete qualche minuto per voi e pensate a primi Natale che ricordate. Scavate nella vostra memoria e ricordate. Ora prendete tre aspetti di questi ricordi e confrontateli con la loro evoluzione, con quello che sono ora. Potreste così fare una valutazione e riuscire a migliorare il prossimo Natale, a renderlo più magico e se proprio il risultato non è dei migliori, avrete un incentivo in più a rendere questa festa ancora più bella.
Io intanto vi svelo i miei risultati:
I nonni
Da piccolo avevo due nonne, due nonni e una bisnonna, ora ne ho solo uno, nonno Gabriele e per quanto sia triste non vedere più mia nonna Nina fare la pasta a mano o mia nonna Maria preparare l'albero e abbellire la casa come solo lei sapeva fare, ho capito che lo loro essenza, nonostante la loro scomparsa, è rimasta e ad ogni Natale spunta sempre qualche storia su di loro e in qualche modo sembra come se fossero con noi, intorno alla nostra tavolata, che ridono con i nostri racconti.
L'ansia da regali
Sin dai miei primi ricordi sul Natale avevo l'ansia dei regali: dopo aver fatto la letterina a Babbo Natale vivevo nell'ansia che mi arrivasse il regalo sbagliato, che non ne arrivassero proprio o che da un momento all'altro mi venisse in mente un altro regalo in sostituzione a quello già chiesto. Ecco, ora è tutto tristemente deciso a tavolino e data la mia mania di controllo, da un certo punto di vista, è una situazione migliore.
Innocenza, incoscienza e fiducia
Del passato mi manca l'innocenza, l'incoscienza e la fiducia che sono tre attributi possibili solo per gli occhi di un bambino. Per me il Natale era il momento in cui tutto si poteva risolvere e tutto si poteva aggiustare. Non c'era litigio, problema o conflitto che non potesse essere messo a tacere grazie alla magia del Natale. Purtroppo ad oggi è sparita l'innocenza, l'incoscienza e soprattutto la fiducia, perché ho capito che ci sono dei problemi che non sono risolvibili con la sola fede e che fingere che nulla sia successo con il "Scambiatevi un gesto di pace" del prete, non aggiusti le cose, anzi le peggiori. Ho però imparato ad avere fiducia nelle parole, fiducia che da bambino non nutrivo assolutamente: credevo nelle feste comandate, ora credo alle azioni spontanee e da questo punto di vista posso dire che è stata una bella conquista.
Spero che questo gioco vi piaccia e che possiate condividerlo con tutte le persone che amate: sarà di buon augurio!
A presto con un nuovo gioco sul Natale!
lunedì 7 dicembre 2015
Quanto una parola possa far sorridere
Ieri, prima di andare a letto, ho visto un video bellissimo, di quelli che ti fanno riflettere e ti fanno capire quanto le parole siano potenti.
Il video è semplice: c'è una ragazza di 18 anni di nome Shea Glover che va in giro per la scuola con una telecamera, ferma dei suoi compagni e dice "Sto facendo un video sulle cose che io ritengo siano belle".
Le reazioni sono differenti: ci sono ragazzi che sorridono, altri che sono confusi e perfino chi si arrabbia. E sono tutti ragazzi completamente diversi tra loro ma le cui reazioni sono molto simili: sono tutti stupidi da quel complimento, come a voler dimostrare che a loro, che sono belli, glielo hanno detto poche volte.
Il video in questione è questo: Le reazioni delle persone nell'essere chiamate belle
Mi chiedevo: come mai tanto stupore dinanzi ad una parola che circola frequentemente nel nostro vocabolario di tutti i giorni? All'inizio ho pensato che il problema fosse l'età e che giustamente durante l'adolescenza non è raro trovare ragazzi la cui autostima è ai livelli minimi. Poi ho sommato anche il fattore differenze e ho iniziato a credere che Shea abbia preso un campione non troppo rappresentativo. Infine ho capito che non è l'età o l'essere outsider che rende stupiti davanti ad una dichiarazione del genere ma che è una condizione normale dell'essere umano.
Voglio dire, abbiamo tutti parenti, amici e colleghi che ci dicono che stiamo bene con un certo look, con un certo taglio o che quel completo ci rende più attraenti del solito e questo ci rende felici, ma è una routine. Ciò che ha lasciato quei ragazzi a bocca aperta facendoli reagire in quella maniera così stupita era l'inaspettato e le reazioni che ci sono state subito dopo ne sono la prova.
Insomma, pensate a quello che facciamo tutti i giorni, in cui tutto è molto prevedibile, controllabile e gestibile, dove anche un compleanno o una festa dovuta diventa un cliché a cui siamo abituati da molto tempo. E poi pensate invece a quella volta in cui vi siete sentiti su una nuvola dopo un appuntamento riuscito bene o a quella volta in cui il cuore ha iniziato a battere più velocemente in attesa di un grande evento, unico nel suo genere. Bene, quelli sono stati sicuramente momenti di grande gioia dove si innescava un momento di sorpresa e stupore, dove c'era l'inaspettato e soprattutto dove una giornata di routine, prevedibile e poco eccitante si è trasformata in un qualcosa difficile da dimenticare.
Ecco di cosa abbiamo bisogno al giorno d'oggi, non di telefoni più tecnologici o di distanze accorciate virtualmente, ma di gente che prenda un biglietto e che parta. Abbiamo bisogno di dirci quello che sentiamo non nei giorni comandati ma nei giorni ordinari perché è proprio l'ordinarietà a rendere straordinaria una vita, un'ordinarietà che vive di momenti che fanno sorridere quando meno lo si aspetta.
Il video è semplice: c'è una ragazza di 18 anni di nome Shea Glover che va in giro per la scuola con una telecamera, ferma dei suoi compagni e dice "Sto facendo un video sulle cose che io ritengo siano belle".
Le reazioni sono differenti: ci sono ragazzi che sorridono, altri che sono confusi e perfino chi si arrabbia. E sono tutti ragazzi completamente diversi tra loro ma le cui reazioni sono molto simili: sono tutti stupidi da quel complimento, come a voler dimostrare che a loro, che sono belli, glielo hanno detto poche volte.
Il video in questione è questo: Le reazioni delle persone nell'essere chiamate belle
Mi chiedevo: come mai tanto stupore dinanzi ad una parola che circola frequentemente nel nostro vocabolario di tutti i giorni? All'inizio ho pensato che il problema fosse l'età e che giustamente durante l'adolescenza non è raro trovare ragazzi la cui autostima è ai livelli minimi. Poi ho sommato anche il fattore differenze e ho iniziato a credere che Shea abbia preso un campione non troppo rappresentativo. Infine ho capito che non è l'età o l'essere outsider che rende stupiti davanti ad una dichiarazione del genere ma che è una condizione normale dell'essere umano.
Voglio dire, abbiamo tutti parenti, amici e colleghi che ci dicono che stiamo bene con un certo look, con un certo taglio o che quel completo ci rende più attraenti del solito e questo ci rende felici, ma è una routine. Ciò che ha lasciato quei ragazzi a bocca aperta facendoli reagire in quella maniera così stupita era l'inaspettato e le reazioni che ci sono state subito dopo ne sono la prova.
Insomma, pensate a quello che facciamo tutti i giorni, in cui tutto è molto prevedibile, controllabile e gestibile, dove anche un compleanno o una festa dovuta diventa un cliché a cui siamo abituati da molto tempo. E poi pensate invece a quella volta in cui vi siete sentiti su una nuvola dopo un appuntamento riuscito bene o a quella volta in cui il cuore ha iniziato a battere più velocemente in attesa di un grande evento, unico nel suo genere. Bene, quelli sono stati sicuramente momenti di grande gioia dove si innescava un momento di sorpresa e stupore, dove c'era l'inaspettato e soprattutto dove una giornata di routine, prevedibile e poco eccitante si è trasformata in un qualcosa difficile da dimenticare.
Ecco di cosa abbiamo bisogno al giorno d'oggi, non di telefoni più tecnologici o di distanze accorciate virtualmente, ma di gente che prenda un biglietto e che parta. Abbiamo bisogno di dirci quello che sentiamo non nei giorni comandati ma nei giorni ordinari perché è proprio l'ordinarietà a rendere straordinaria una vita, un'ordinarietà che vive di momenti che fanno sorridere quando meno lo si aspetta.
giovedì 3 dicembre 2015
Domande e letteratura
Ieri discutevo con una persona molto saggia sulle persone che scegliamo nella vita soffermandoci su quelle sbagliate, quelle che poi lasciamo nel cammino e mi domandavo cosa avessero a che fare tutte queste future ex relazioni con me e con le persone in generale. In sintesi la domanda è: perché scegliamo le persone sbagliate?
Oggi poi, mentre maledicevo il tram che era in ritardo, mentre camminavo per andare in facoltà, espandevo il concetto in un rapporto più ampio e forse più pericoloso. La domanda ora non è "Perché scegliamo le persone sbagliate?" ma "Perché non ci accorgiamo subito che lo sono?"
Ho pensato ai primi appuntamenti, a quanto siano nauseanti, perché c'è un carico di aspettative troppo pesante da gestire, un carico che porta ansie e pensieri inutili, soprattutto perché la maggior parte delle volte, l'altra persona si rivela sbagliata fin da subito e fin da subito cerchiamo un modo per poter uscire da quella situazione imbarazzante. Ma quando invece ci si trova bene al primo appuntamento, decidendo di vedersi per un secondo e poi un terzo, un quarto e altri cento, perché alla fine, dopo un tempo non sempre calcolabile, arriviamo a pensare "Non eravamo fatti per stare insieme." oppure "Non eravamo compatibili." o peggio "Non era la persona giusta."?
E ripensando a ciò che è successo negli ultimi anni e alle persone che mi sono vicino ho capito fondamentalmente una cosa: se non c'è Amore agli inizi, non è la persona giusta.
Si, avete capito bene: se non scatta del vero sentimento alle prime fasi di una frequentazione, la coppia è destinata al fallimento, in quanto uno dei due penserà un giorno o l'altro "Non è la persona giusta." Perché miei cari lettori, quando c'è del sentimento da parte di entrambi e poi le cose non vanno più bene, ci si attaccherà sempre alla speranza che quel sentimento ritorni e se le persone riescono nel loro intento, la fase critica passa e si ritorna all'armonia, allo stare bene. Ma se anche una sola persona tra i due non prova qualcosa, allora saprà di certo che si sta accontentando di una situazione di banale sicurezza affettiva ai danni del vero amore.
Insomma ne sono state scritte di schifezze negli anni, ma se c'è un tema che continua perennemente da quando la letteratura è nata, è quello dell'amore.
Anche di quello che finisce in tragedia.
Guardate Shakespeare, Sparks e Dante: loro scrivono di amori finiti, di lotte, guerre e percorsi interiori per poter ritrovare la persona amata e per poterla rivivere e solitamente i personaggi delle loro storie sono tutti degli innamorati col cuore stanco ma forte che lottano per riavere ciò che sembra perduto. C'è Otello che ama Desdemona e lei che ama lui, ma il dramma succede lo stesso e non riuscendo a concepirlo, a sviscerarlo e ad affrontarlo questo amore finisce nel modo peggiore. E lo stesso fa Romeo con Giulietta; Dante si infligge perfino un viaggio agli Inferi pur di trovare la sua amata, ciò che era il loro amore.
Perché credetemi, quando si prova qualcosa per una persona, per quanto possa finire male, anche senza la tragicità di Shakesperare, quel sentimento rimane latente, nascosto, ma c'è. Se non si prova nulla, non si è provato nulla e mai lo si proverà, allora quella relazione non è altro che paura della solitudine, della sconfitta, della verità. Ed è quella la vera sconfitta, quella di aver ceduto le armi alla difficoltà della ricerca della persona che ci ama per quello che siamo e che nonostante tutto, vuole ancora combattere per quell'amore passato, al presente sopito.
Oggi poi, mentre maledicevo il tram che era in ritardo, mentre camminavo per andare in facoltà, espandevo il concetto in un rapporto più ampio e forse più pericoloso. La domanda ora non è "Perché scegliamo le persone sbagliate?" ma "Perché non ci accorgiamo subito che lo sono?"
Ho pensato ai primi appuntamenti, a quanto siano nauseanti, perché c'è un carico di aspettative troppo pesante da gestire, un carico che porta ansie e pensieri inutili, soprattutto perché la maggior parte delle volte, l'altra persona si rivela sbagliata fin da subito e fin da subito cerchiamo un modo per poter uscire da quella situazione imbarazzante. Ma quando invece ci si trova bene al primo appuntamento, decidendo di vedersi per un secondo e poi un terzo, un quarto e altri cento, perché alla fine, dopo un tempo non sempre calcolabile, arriviamo a pensare "Non eravamo fatti per stare insieme." oppure "Non eravamo compatibili." o peggio "Non era la persona giusta."?
E ripensando a ciò che è successo negli ultimi anni e alle persone che mi sono vicino ho capito fondamentalmente una cosa: se non c'è Amore agli inizi, non è la persona giusta.
Si, avete capito bene: se non scatta del vero sentimento alle prime fasi di una frequentazione, la coppia è destinata al fallimento, in quanto uno dei due penserà un giorno o l'altro "Non è la persona giusta." Perché miei cari lettori, quando c'è del sentimento da parte di entrambi e poi le cose non vanno più bene, ci si attaccherà sempre alla speranza che quel sentimento ritorni e se le persone riescono nel loro intento, la fase critica passa e si ritorna all'armonia, allo stare bene. Ma se anche una sola persona tra i due non prova qualcosa, allora saprà di certo che si sta accontentando di una situazione di banale sicurezza affettiva ai danni del vero amore.
Insomma ne sono state scritte di schifezze negli anni, ma se c'è un tema che continua perennemente da quando la letteratura è nata, è quello dell'amore.
Anche di quello che finisce in tragedia.
Guardate Shakespeare, Sparks e Dante: loro scrivono di amori finiti, di lotte, guerre e percorsi interiori per poter ritrovare la persona amata e per poterla rivivere e solitamente i personaggi delle loro storie sono tutti degli innamorati col cuore stanco ma forte che lottano per riavere ciò che sembra perduto. C'è Otello che ama Desdemona e lei che ama lui, ma il dramma succede lo stesso e non riuscendo a concepirlo, a sviscerarlo e ad affrontarlo questo amore finisce nel modo peggiore. E lo stesso fa Romeo con Giulietta; Dante si infligge perfino un viaggio agli Inferi pur di trovare la sua amata, ciò che era il loro amore.
Perché credetemi, quando si prova qualcosa per una persona, per quanto possa finire male, anche senza la tragicità di Shakesperare, quel sentimento rimane latente, nascosto, ma c'è. Se non si prova nulla, non si è provato nulla e mai lo si proverà, allora quella relazione non è altro che paura della solitudine, della sconfitta, della verità. Ed è quella la vera sconfitta, quella di aver ceduto le armi alla difficoltà della ricerca della persona che ci ama per quello che siamo e che nonostante tutto, vuole ancora combattere per quell'amore passato, al presente sopito.
Iscriviti a:
Post (Atom)